Ma la ragione è un
bene comune
All’apparenza, un’analisi, dotta e pacata, sui rapporti tra Stato e Chiesa,
soprattutto negli ultimi due
secoli. In realtà, un grido d’allarme, preoccupato e appassionato, sui rischi,
per la civile convivenza
tra laici e cattolici, del fondamentale spostamento operato da Benedetto XVI nel
magistero
ecclesiale: dal binomio «verità-fede» alla coincidenza «verità-ragione».
Questo «travestimento» del più recente libro di Gustavo Zagrebelsky
potrebbe freudianamente
scoprire il motivo che ha spinto l’autore a intitolare il volume prendendo a
prestito una immagine di
Thomas Mann. Il grande romanziere tedesco scriveva che religione e politica si
sono abituate, lungo
i secoli, a «scambiarsi la veste», combattendosi o alleandosi, per indossare
l’una i panni dell’altra.
Il costituzionalista torinese mette subito in luce perché tra la Chiesa
cattolica e lo Stato, almeno
quello laico e democratico, il contrasto sia, in linea di principio,
insuperabile. La pretesa
universalistica di questa religione propone inevitabilmente la sua dottrina
morale a tutti gli uomini,
non solo ai fedeli. Ecco perché la Chiesa cattolica non si può rassegnare
a vivere in uno Stato
pluralista, garante della libera convivenza di tutte le fedi. Il contesto
relativista, contrassegno
identitario della democrazia liberale, dovrebbe implicare, infatti, la sua
rinuncia alla predicazione di
una verità assoluta.
Di fronte a questa antinomia teorica, la Chiesa ha cercato,
dalla metà dell’Ottocento, una strada che
riconoscesse, nei fatti, il pluralismo, ma che non la costringesse a rinnegare
quella pretesa di
universalità del suo messaggio.
Zagrebelsky individua tre tappe fondamentali di questo tentativo: la prima
corrisponde all’offerta
della religione cattolica nella veste di «dottrina sociale». La svolta compiuta
da Leone XIII,
nell’ultimo periodo del XIX secolo, soprattutto con l’enciclica Rerum novarum.
La seconda, con il
Concilio vaticano del 1962-1965, punta a una concezione religiosa fondata sulla
difesa della dignità
dell’esistenza umana. La terza, quella individuata dall’attuale
pontefice, declina la predicazione
cattolica come religione civile, àncora di salvezza delle democrazie in
autodecomposizione.
E’ proprio su quest’ultima «veste», per richiamare il titolo
del libro, che si appuntano le
preoccupazioni dell’autore. Se la verità proclamata dal messaggio
cattolico non si fonda sulla fede,
ma sulla ragione, patrimonio di tutti gli uomini, credenti e non credenti, non
sono più ammessi
limiti, contraddizioni, eccezioni all’adesione universale nei confronti di
questa religione e dei suoi
precetti. «Il rapporto col mondo di una simile autorappresentazione
della Chiesa - scrive
Zagrebelsky - difficilmente può concepirsi in termini amichevoli: si tratta di
essere conquistati o di
conquistare... è la riproposizione, in forma intellettualistica, del
tradizionale principio: extra
Ecclesiam nulla salus, con tutta la sua portata d’intolleranza e la
naturale tendenza della religione a
farsi religione di Stato».
Possono sembrare timori eccessivi quelli di Zagrebelsky, in un clima di
consolidata
secolarizzazione. Ma l’ex presidente della Corte Costituzionale ravvisa proprio
nell’indifferenza,
impronta tipica delle nostre democrazie liberali, «la condizione in cui tutto
può avvenire e anche i
progetti più arrischiati possono avere chances di successo, se non perché
suscitano adesione,
almeno perché non suscitano reazioni».
L’intenzione profonda del costituzionalista, con queste
parole, è «svelata»: lanciare una scossa
perché il mondo laico avverta il rischio di una rottura di quell’armistizio tra
Chiesa e Stato
indispensabile perché un conflitto, teoricamente ineliminabile, trovi la
possibilità di una
collaborazione, nel segno della saggezza intellettuale e della compassione
umana. Si tratta di un
appello alla «ragione pubblica», come la chiama Zagrebelsky, quello spazio
democratico che non
confini la religione nel campo delle convinzioni da esprimere solo in privato.
Ma, pur ammettendola
nella fondazione della società civile, neghi a qualsiasi concezione
particolare la pretesa di possedere
una verità assoluta, tale da imporla a tutti.
Luigi La Spina La Stampa 15
maggio 2010