Indignazione
Fra le virtù dimenticate bisogna elencare anche l'indignazione. Una
abitudine troppo spesso
sottovalutata e dimenticata: una fatica che appare inutile, una reazione
sproporzionata. Tanto vale
accettare, sopportare, adattarsi. Indignarsi appare troppo spesso vano. Ma così
si apre la porta alle ingiustizie, alle corruzioni, alla immoralità.
È la nostra storia di tutti i giorni: una storia fatta
di
appiattimenti, di rinunce, di pensiero debole, di identità slavate.
Troppe volte non resta che
indignarsi, ma sembra che non ne valga la pena. Fatica inutile, meglio
rinunciare.
Indignazione o sdegno. Con due varianti famose: ira e rabbia. La prima più
nobile, più interiore; la
seconda più volgare ed esteriore. La prima riguarda il cuore (le viscere,
dicevano gli antichi) e
spinge anche a grandi cose.
Di ira e indignazione è piena la Bibbia, ma ne sono
piene anche l'Iliade e l'Odissea e, in genere,
tutte le grandi tragedie greche.
Oggi, comunque, l'indignazione con tutta la sua famiglia, non è di moda,
neppure di fronte a un
vistoso e spaventoso eccesso di corruzione. Anche la sinistra, nelle sue
varie manifestazioni, sembra
aver dimenticato quella indignazione —anche quella rabbia — che per decenni ha
animato i cuori
del movimento operaio. Indignazione per le ingiustizie subite e fino a ieri
accettate a bocche chiuse
e a braccia conserte. Indignazione per la forbice sempre più ampia fra ricchi e
poveri, fra padroni e
operai forse meno poveri di prima ma sempre socialmente impotenti, senza soldi e
soprattutto senza
dignità e senza voce.
Per non parlare, poi, della indignazione delle donne, ancora
di serie B. Questa indignazione degli
operai e delle donne ha riempito le piazze per un secolo, ha impedito
appiattimenti, cedimenti e
chiusure: se non ha vinto, ha fatto sì che la vittoria dell'avversario
prepotente non fosse né totale, né
definitiva. Ha mantenuto, anche in chi perdeva, la speranza, la vita.
Non si tratta di mantenere nel
cuore un lumicino acceso, di conservare una piccola soddisfazione per i giorni
di festa. Si tratta di
una virtù eminentemente politica, particolarmente preziosa per i giorni
difficili, i giorni della
sconfitta. Una virtù importante, necessaria, indispensabile anche se la
vittoria non è dietro l'angolo.
L'indignazione non è lontana dalla vittoria, la prepara.
Filippo Gentiloni in “Rocca” del 1
maggio 2010