Amenábar: "Il martirio di Ipazia è un'accusa contro l'intolleranza"

intervista ad Alejandro Amenábar, a cura di Maria Pia Fusco


Uscito sei mesi fa in Spagna, Agora, il film di Alejandro Amenábar sulla filosofa Ipazia (l'attrice
Rachel Weisz), vissuta ad Alessandria alla fine del 300 dopo Cristo, sarà nelle sale italiane venerdì
con oltre 200 copie. Ipazia fu uccisa con orribile crudeltà dai parabolani, fanatici cristiani che dopo
aver distrutto la Biblioteca Alessandrina infierirono contro pagani ed ebrei, per ordine del vescovo Cirillo, oggi onorato come santo e padre della Chiesa. È la ragione per cui quando il film fu
presentato a Cannes, l'anno scorso, si diffuse il timore di pressioni da parte del Vaticano per
impedirne l'uscita, tanto che su Facebook intellettuali e filosofi aprirono una campagna di
sensibilizzazione. Dice oggi Andrea Cirla, responsabile marketing della Mikado che distribuisce
Agora, «quando lo abbiamo comprato, prima del doppiaggio, lo abbiamo mostrato a una
commissione di giornalisti e prelati del Vaticano, c'è stata una reazione stizzita, poi è scesa una
coltre di silenzio. Pensiamo che sia un silenzio studiato».

Amenábar, ha pensato alle reazioni del Vaticano mentre realizzava il film?

«Temevo qualche polemica, perché il film evoca un momento del cristianesimo mai raccontato sullo
schermo. Ma non vuole offendere la Chiesa, è contro l'intolleranza e il fanatismo, da qualunque
parte provenga.
Purtroppo oggi come allora l'intolleranza continua ad uccidere. Non mi aspettavo
che ad Alessandria ci fosse il divieto sul film per paura che le minoranze cristiane subiscano
aggressioni dalla maggioranza islamica».

Com'è nata l'idea di raccontare Ipazia?

«Il film è nato per caso. Dopo una storia intima come Mare dentro volevo fare qualcosa sul tema
dell'astronomia, che mi appassiona da sempre. Durante le ricerche tra tanti grandi come Galileo,
Newton o Keplero ho scoperto un solo nome femminile, Ipazia. Un personaggio ideale e non solo
per la componente femminista. Mi affascinava l'idea di rappresentare la scienza attraverso una
donna che, in un'epoca di intolleranza, voleva diffondere la conoscenza con una mentalità aperta e
tollerante. Alle sue lezioni c'erano giovani di ogni religione, anche cristiani».

Che tipo di donna era Ipazia?

«Le cronache dell'epoca raccontano che non si sposò e non ebbe figli e dedicò tutta la sua vita alla
filosofia e alla scienza. Ho discusso del personaggio con Rachel Weisz, l'interprete di Ipazia, le ho
spiegato che non volevo nessuna implicazione sessuale o amorosa con i suoi studenti perché
l'ipotesi più attendibile è che sia morta vergine. Purtroppo non è rimasto nulla dei suoi studi e dei
suoi scritti, per cui ho potuto permettermi qualche libertà da questo punto di vista. Ma è un peccato
che non sia rimasto niente. Secondo me se non avessero distrutto la Biblioteca alessandrina oggi
l'uomo sarebbe arrivato su Marte».

Nel film lei attenua la crudeltà dell'uccisione di Ipazia, ma nei titoli di coda ricorda che il
vescovo Cirillo è diventato santo. Perché?


«Secondo le cronache Ipazia fu letteralmente fatta a pezzi, volevo una fine più sopportabile per il
pubblico, ho scelto la lapidazione, che fa anche parte della realtà di oggi in alcuni paesi. Quanto a
Cirillo è importante per il contesto storico. Di lui sapevo che era un santo, mi ha sconvolto la
scoperta di tutto il male che ha fatto mentre era vescovo.
Nel film racconto solo il 30 per cento della
sua crudeltà. Penso che alla santità sia più vicina Ipazia di lui. Ipazia che, come Cristo, è stata
uccisa perché amava il prossimo e parlava con tutti».

Lei è cattolico?

«Ho studiato in un collegio cattolico, conosco la cultura cattolica. Con The others sono passato
all'agnosticismo, ora ho capito di essere ateo. Non significa che non creda in qualche entità
superiore ma, da ateo, preferisco chiamarla natura».


la Repubblica   20 aprile 2010