Laicità e democrazia

 A rendere ancora più folcloristica la campagna elettorale italiana sono arrivati la sceneggiata dell’udienza papale ai parlamentari del PPE, il balletto di Berlusconi, Casini e Mastella e le dichiarazioni e controdichiarazioni di politici, giornalisti, intellettuali.

Carlo Cardia sull’Avvenire del 7 marzo spezza una lancia a favore della libertà per il Papa di ricevere uomini politici durante la campagna elettorale giungendo a domandarsi “Infine, che strana laicità è quella che si scandalizza per questo?”. Il professore, grande artefice con Francesco Margiotta Broglio del “papocchio” concordatario del 1984, dimentica che è proprio l’anomala condizione riservata da quell’Accordo alla chiesa cattolica a rendere l’Italia un paese in cui la laicità si può nutrire di tempeste create artificiosamente in un bicchier d'acqua.

Il suo intervento è in linea con l’articolo, pubblicato sullo stesso giornale il 2 marzo, dal titolo significativo Se l'anticlericalismo doc punta a scassare i poli, impegnato a cercare di individuarne le cause e le possibili conseguenze nella nascita in Italia della Rosa nel pugno nella quale l'anticlericalismo si è fatto partito. Si tratta di un avvenimento che merita attenzione, indipendentemente dalle sue dimensioni quantitative, osserva il giornale. Senza entrare nel merito del giudizio sul nuovo partito, c’è da rilevare che tra le cause della sua nascita l’articolista non inserisce l’ondata di confessionalismo e di clericalismo che ha invaso il paese negli ultimi decenni. Anche Cardia sembra non cogliere il nesso tra l’aumento dell’interventismo delle gerarchie cattoliche nella vita politica italiana e il ritorno della contrapposizione frontale tra laici e cattolici. In verità questa contrapposizione non esiste se, a dare voce al disagio di una partecipazione dei capi della casa delle libertà ad un’udienza pontificia all’immediata vigilia delle elezioni, si è anche mosso un prete di provincia e con lui migliaia di laici cattolici.

L’episodio aiuta a interpretare denunce e recriminazioni che inquinano l’attuale fase del dibattito sulla laicità, secondo gli uni, ridotta opportunisticamente a bandierina elettorale dai laicisti di complemento o in servizio permanente, secondo gli altri, continuamente violentata dai clericali e non difesa dai partiti dell’unione.

Negata o strumentalizzata, la laicità rischia di diventare comodo alibi per ignorare il dramma che si sta consumando nel nostro paese in conseguenza della legge elettorale destinata a dar vita ad una forma inedita di sistema politico istituzionale: la “democrazia feudale”.

I parlamentari formalmente eletti saranno stati di fatto nominati: “vassalli delle oligarchie di partito” e non”rappresentanti del popolo sovrano”. Qualche mugugno è arrivato sui giornali in questi giorni di definizione delle liste, una flebile dichiarazione di Prodi a favore del cambiamento del sistema, ma poco più. È evidente che nessuno dei contendenti ha interesse a sollevare il problema in questa fase. Se, però, la laicità è l’altra faccia della democrazia e non semplicemente il farsi ghibellini per combattere i guelfi, è necessario che chi ne è convinto non perda di vista la reale posta in gioco in questa congiuntura politica: il rilancio della democrazia costituzionale. A metterla a dura prova è anche il cumulo di scadenze: oltre le politiche ci saranno le amministrative, l’elezione del Presidente della Repubblica, il referendum confermativo sulla proposta di “dissoluzione” della Carta costituzionale. Sarà bene che cittadine e cittadini di ogni orientamento confessionale o ideologico si muovano in un’ottica complessiva. Se è prioritario cacciare Berlusconi, è essenziale altresì tentare, per quanto possibile, di condizionarne la successione. Fra gli altri criteri resta sempre valido quello di confrontare le enunciazioni ideali con la concretezza degli obiettivi. Non è un buon promotore di laicità chi fino a ieri è stato distratto, o peggio connivente, quando si varavano leggi di concreto sostegno alle gerarchie cattoliche in cerca di finanziamenti e di spazi di potere: alla Rai, nelle scuole, nelle caserme e negli ospedali. Negli ultimi giorni se n’è aggiunto un altro. Di quanti hanno tuonato contro l’otto per mille alle chiese, e poi al 4 per mille per i partiti, sono rimasti in pochi a denunciare l’introduzione del nuovo marchingegno fiscale del cinque per mille. Nato con il “nobile” intento di finanziare la ricerca scientifica, è stato esteso alle Onlus,.diventando non solo un ulteriore strappo alla legalità costituzionale, ma anche un nuovo strumento d’inquinamento della democrazia interna dell’associazionismo di ogni tendenza. Le organizzazioni di base alle pubbliche autorità non dovrebbero chiedere finanziamenti, sussidi e sponsorizzazioni, ma strutture, spazi, agevolazioni fiscali, tariffe ridotte, carta e stampa .... per tutti coloro che hanno idee da diffondere, attività da svolgere, iniziative da prendere. Finanziamenti pubblici diretti, anche se mascherati da scelte volontarie, inquinano la vita associativa, contribuiscono alla burocratizzazione dei partiti e alla sopravvivenza di oligarchie al loro interno. Non è un appello scontato: è facile invece smarrirsi, anche perché circola ancora l’equivoco che si tratti del “mio” cinque per mille, mentre è pur sempre tratto dal patrimonio di tutti i cittadini.

 

Marcello Vigli      www.italialaica.it 9 marzo 2006