La legge del più forte

Nella parte bassa dell'età del ferro, racconta Esiodo, spariranno solidarietà e rispetto, e  alla fine gli uomini nasceranno con le tempie bianche. Non rimarrà altro che la vecchiaia: il sentimento della senilità che corrompe e annienta la gioventù priva di prospettive.

La razza del ferro è caratterizzata da fatica, penosa fatica senza lavoro, dalla povertà e dalla violenza: gli spettri che si aggirano di nuovo per l’Europa. Disoccupazione e miseria di risorse materiali, morali e affettive: nessuno si fida più di nessuno. Le leggi non vengono osservate da chi ci governa: funzionano come le ragnatele che servono a trattenere gli animali minuscoli, mentre vengono fatte a pezzi dai grossi. Rimane in vigore solo il diritto del più forte di schiacciare il più debole. Scompaiono i valori nobili della lealtà, della gratitudine, dell'aiuto reciproco. E' un'età deforme: sulla ribalta si presentano donne fittizie, uomini posticci, dai volti rifatti, che ammiccano con sorrisi stampati, degenerati in ghigni, come tante maschere comiche, o piuttosto tragiche.

Le forze scatenate dai profeti di questo capitalismo selvaggio sono oramai fuori controllo, come le potenze infere evocate dall'apprendista stregone. Gli idrocarburi che periodicamente inquinano i fiumi e i mari, sono il correlativo oggettivo della putrefazione morale che appesta questo paese guasto. La brama del denaro ha reso tutto venale. Viviamo un carnevale sinistro nel quale il collega deve guardarsi dal collega, l'amico dall'amico, che potrebbe essergli preferito dal frenetico addetto ai licenziamenti; l'amante deve temere l'amante, che cercherà di rovinarlo dopo avere ottenuto favori, quando non li riceve più. L'ideologia dell'utile e dell'uso cinico delle persone si ritorce contro chi ha voluto diffonderla: chi è stato usato, usa a sua volta. E' un contrappasso continuo, senza fine: tu mi fai patire, io faccio patire te. Finché soffriamo tutti sparisce ogni forma di cortesia e di simpatia; si diffonde il fastidio dei rapporti umani. Meglio un onesto cane, pensano in molti.

Governare non è un servizio onorevole, ma un atto di potere incontrollato e lucrativo, perpetrato nell'interesse personale di chi lo compie, anche contro il bene pubblico. Pasolini nelle Lettere luterane, scritte nei primi mesi del '75, affermava che la televisione aveva praticamente "concluso l'era della pietà, e iniziato quella dell'edonè". Ora anche i piaceri sani tramontano, e siamo vicini all'età immaginata da Esiodo e prevista da Orwell: "Un mondo di paura, tradimento e tormento, un mondo di gente che calpesta e viene calpestata, un mondo che diventerà non meno, ma più spietato a mano a mano che si perfezionerà. Le antiche civiltà asserivano che erano fondate sull'amore e sulla giustizia. La nostra è fondata sull'odio". Questa è 1'antiutopia dell'aguzzino O'Brien nel romanzo 1984. La nostra civiltà attuale è basata sul terreno inquinato e franoso dell'ignoranza, del lucro spietato, della menzogna. Sulla negazione dell'etica e della ragione. Della bellezza e dell'onestà.

Ebbene deve esserci una reazione forte. Perché, come scriveva Hesse, quando declina lo spirito, non funzionano più nemmeno le automobili, i treni, le aziende, le banche. Una profezia che si sta avverando. Pure la tecnica, l'industria e il commercio hanno bisogno di rettitudine mentale e sanità morale. Bastano pochi decenni di rilassamento dello studio e del pensiero per danneggiare la vita di tutti. "Qual'è il principio che ci sconfiggerà?" chiede il torturatore O'Brien all'oppositore Winston. E questo risponde: "The spirit of Man", lo spirito dell'Uomo. Lo spirito umano però, nel frattempo, va tenuto in vita e nutrito con la cultura, con la dialettica politica, con l'arte. E' quindi necessario reagire all'inebetimento spirituale voluto dalla propaganda mediatica. Ci fa sperare la richiesta della legalità, del diritto alla scuola, al lavoro, e della dignità di persone, da parte di donne e uomini autentici, che sentono il bisogno di impiegare la propria esistenza in un'attività ricca di significato, utile alla vita propria e a quella degli altri.

"Finché c'e lotta c'e speranza" ha scritto il direttore di questo giornale il giorno dopo la recente manifestazione di popolo contro il governo del malaffare. "Possiamo sperare, dunque".

Giovanni Ghiselli       Il Fatto Quotidiano 17/3/2010