Il dialogo
delle verità
Zagrebelsky: potere, stato e chiesa
Nelle democrazie moderne le due entità non possono venire sovrapposte e serve
un pluralismo
L´ultimo libro del giurista affronta il rapporto fra politica e fede nel governo
dell´uomo
La ricostruzione storica mostra quando si spezza l´alleanza tra trono e altare
Il saggio rivela l´esigenza di una riscoperta delle caratteristiche della
laicità
Merito del libro di Gustavo Zagrebelsky (Scambiarsi la veste. Stato e Chiesa
al governo dell´uomo, edito da Laterza, pagg. 160, euro 16) è di afferrare
il bandolo di quella complicata matassa che è il ritorno politico della
religione - in cui si intrecciano la crisi dello Stato democratico,
l´emergere di una diffusa indifferenza verso la religione, ma al tempo stesso
anche la ricerca di un supplemento d´anima per una politica sempre più
spezzettata, irrazionale, instabile - , e di ricostruire in una sintesi agile,
informata, incisiva, la tormentata vicenda del dualismo occidentale fra potere e
religione, misurando così le ragioni strutturali del problema.
Quel dualismo fra Stato e Chiesa nacque con l´affermazione - risalente a papa
Gelasio, alla fine del V secolo - che la Chiesa, originariamente capace di
politica (Cristo ha salvato l´umanità intera nel mondo, non i singoli uomini nel
chiuso delle loro coscienze), è altra e superiore rispetto al potere politico
mondano: nel disegno della Chiesa il dualismo serviva a creare una
gerarchia, a proprio favore; il cristianesimo era la precondizione
dell´esistenza politica - essere cristiano e essere cittadino erano la medesima
cosa - , e quindi anche della legittimità dei poteri civili. La
laicità, quindi, nasce nel mondo cristiano, ma indirettamente; non è una
concessione della Chiesa né un esito immediato della religione, ma il risultato
di una lotta di lungo periodo contro la pretesa di supremazia che la
caratterizza da sempre.
Una pretesa che Zagrebelsky ripercorre nelle sue varie forme - la
ierocrazia medievale, e la teoria moderna di Bellarmino della potestas
indirecta, ossia l´offerta di sostegno ai re e la parallela affermazione che
i cattolici possono essere chiamati dal papa a disobbedire ai loro governanti -
. La modernità politica spezza proprio questa alleanza fra trono e altare, e la
Chiesa entra in conflitto frontale con il mondo moderno e la sua politica:
l´Ottocento è così segnato dal rifiuto del liberalismo e della libertà che
questo offriva alla religione (libera Chiesa in libero Stato). Ma
nonostante questo arroccamento politico e dottrinario la Chiesa si aprì verso la
società, per mobilitare masse cattoliche tendenzialmente antistatali, e per non
lasciarle al socialismo; alla fede ormai non più coincidente con la cittadinanza
sostituì, con la Rerum Novarum di Leone XIII, la propria dottrina sociale quale
centro di una strategia di riappropriazione della politica. La Chiesa inizia
così a proporsi come indispensabile non solo per la salvezza ma anche per tenere
unita la società che l´insipienza e l´ingiustizia dei laici compromette alle
radici.
La conciliazione, brevissima, col Moderno è vista da Zagrebelsky nel Concilio
Vaticano II, in cui la Chiesa si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà, e
chiede di potere servire l´umanità, di difenderne la dignità e i diritti alla
luce dell´insegnamento evangelico; il pluralismo delle opinioni politiche e
sociali è accettato, e ci si apre anche all´idea della libertà religiosa.
Ma, nota Zagrebelsky, il problema sta nel mai allentato rapporto della Chiesa
con la Verità: un rapporto che la rende un ospite assai ingombrante
nella democrazia, che può facilmente apparire alla Chiesa come nichilismo e
instabilità, e destinata alla dissoluzione, se non interviene la Chiesa stessa,
come una teologia civile o politica, a sostenerla.
Nell´ormai matura crisi dello Stato moderno, ecco quindi, da Giovanni Paolo II in poi, lo scambio di veste fra Chiesa e Stato - entrambi in gara per governare razionalmente gli uomini - , a cui allude il titolo del libro. Non più ostile in linea di principio alla politica della ragione, la Chiesa con Benedetto XVI (il discorso di Ratisbona) pretende di incarnare in sé la ragione umana al suo grado più alto, di essere l´erede della filosofia greca (intellettualmente preferita alla radice ebraica) e della riflessione filosofica non corrotta (cioè non protestante, non individualistica, non razionalistica): di essere insomma veramente razionale (non razionalistica), veramente laica (non laicista), veramente politica, oltre che veramente salvifica. Verità e ragione si unificano, nella teologia politica cattolica, contro la "dittatura del relativismo", a riaffermare un protettorato cattolico sulla società, della quale la Chiesa rivendica di essere l´origine e la sintesi, sempre operante e vigilante: ancora una volta, extra Ecclesiam nulla salus, fuori dalla Chiesa non c´è salvezza. Questa struttura pedagogica agisce in nome della Verità (come anche l´ultima enciclica mostra già nel titolo), e quindi potenzialmente relega nell´errore chi non è d´accordo (costringendolo a vivere, appena tollerato, in un mondo dai cui principi è escluso, o nei quali è assimilato); il papa chiede che tutti si comportino come se Dio esistesse, e fosse il fondamento della società. Dopo la stagione conciliare di "credere senza appartenere", oggi i religiosi e anche parecchi laici (gli "atei devoti") vogliono che la politica si svolga all´insegna di un appartenere senza credere, che trasforma la cittadinanza democratica in una sorta di comunità a sfondo confessionale.
Zagrebelsky con forza non settaria pone in evidenza la difficoltà
del dialogo fra laici e cattolici, su queste basi; la religione di cui la
democrazia ha bisogno accetta infatti il relativismo, il pluralismo, mirando
all´unica verità che la democrazia riconosce, l´umanistica affermazione della
libertà, dell´uguaglianza, della responsabilità e dell´autonomia. Insomma,
la democrazia chiede che gli uomini si comportino politicamente come se Dio non
esistesse, e che trovino in se stessi - e non in fondamenti autoritari -
la forza di essere liberi e giusti. La democrazia non ha paura di
essere priva di fondazioni metafisiche; questo vuoto, infatti, è la condizione
stessa della sua missione, che consiste nel far fiorire le contingenze
particolari, i progetti di vita degli uomini e delle donne, in uguale dignità e
libertà.
Dobbiamo quindi essere grati a Zagrebelsky per la chiarezza e la serenità con
cui mostra la distanza - il non possumus laico, speculare ai diktat
della Chiesa su tanti aspetti della vita sociale e politica - fra l´attuale
posizione della Chiesa e la democrazia. Una distanza - il vero volto del
dualismo occidentale - che, mentre indica l´esigenza di una radicale riscoperta
delle caratteristiche imprescindibili della laicità, enfatizza la non
sovrapponibilità fra politica e fede, fra sfera mondana e sacro, e mette in
tensione libertà e obbedienza, rifiutando vecchi e nuovi fondamentalismi.
Carlo Galli Repubblica 18.3.10