L'Italia allo
specchio
Cari amici, piedi per terra! Mi sembra che, anche se molti sentono la
pesantezza del clima orrendo
in cui viviamo, la reazione non sia quella di chi si rende conto che questo
periodo è il più buio di
tutti gli “anni bui” della Repubblica: da quasi vent’anni il popolo già
“sovrano” e ora suddito
partecipa a un reality terrificante che ha per protagonista un pifferaio
proprietario di tutti i mezzi di
comunicazione di massa.
Negli altri anni bui la sinistra era visibile: quindici anni fa
sarebbe nato un Comitato degli utenti
televisivi a sostegno del diritto all’informazione che avrebbe invitato allo
sciopero dell’audience.
Oggi solo pochi, anche nei documenti di protesta, mettono in primo piano la
violazione del diritto
all’informazione, ormai da anni strumentale e spesso menzognera, assolutamente
illegittima in
campagna elettorale.
La sinistra che nel passato guidava le masse -ma che spesso ne
era sollecitata -in questi anni ha
sbagliato quasi tutto, fin da quando Massimo D’Alema non oppose argomentazioni
alla candidatura
di un ineleggibile Berlusconi, convinto che “Mediaset è una risorsa per
l’Italia”. Ancora pochi mesi
fa la sinistra, che si era sempre contrapposta a DC e Psi secondo la normale
dialettica parlamentare,
si dichiarava disponibile al dialogo con “questo” governo programmaticamente
orientato solo alla
distruzione di qualunque oppositore definibile “comunista” sulle “sue” reti
pubbliche e private.
D’altra parte la forma-partito è in caduta libera da un quarto di secolo e la
società civile intellettuali
più o meno organici compresi -non si è chiesta tempestivamente chi sarebbe stato
il
nuovo “principe”. Così abbiamo scoperto l’antipolitica e Berlusconi ha
cavalcato il populismo,
inventandosi anche, per necessità, un partito inesistente.
Ma ormai qualunque pianto sul latte versato è assurdo. Noi
italiani -che da soli 150 anni abbiamo
uno stato unitario e che non usiamo più il passaporto per andare da Bologna a
Modena -viviamo
nella globalizzazione da provinciali che delle trasformazioni del mondo colgono
soprattutto gli
effetti distruttivi della crisi senza reagire efficacemente -con il voto
-contro un governo che manda
alla deriva le piccole e medie imprese, non sostiene alcun welfare, taglia i
bilanci di scuola, ricerca
e sanità.
Forse è del tutto inutile fare un riepilogo critico del passato, se non cogliamo
-per agire -lo stato
delle cose nell’immediato. Alle spalle non troviamo incoraggiamenti: il sistema
proporzionale ci ha
negato per cinquant’anni l’alternanza e ha costantemente fatto ricorso alle
elezioni anticipate. Il
maggioritario è ormai acquisito e si tratta di farlo funzionare democraticamente
con i partiti
minoritari consapevolmente collaborativi senza ricatti a fianco delle rispettive
coalizioni.
Oggi il pericolo che corre la democrazia invita ad evitare il recupero di
vecchie ideologie e le
personali opzioni per accettare il minimo denominatore comune della cittadinanza
democratica.
Dopo anni di leggi arbitrarie e discriminatorie, di incredibili attacchi contro
la magistratura, di
compressione e pervertimento dei diritti individuali, di disinformazione, è in
difficoltà anche la
difesa della Costituzione già intaccata nella sua interpretazione materiale.
Siamo arrivati al ricatto e anche le istituzioni di
garanzia ne sono vittime. Per questo bisogna ricordare che, quando il
Parlamento è umiliato dallo strapotere della maggioranza (peraltro
democraticamente eletta) e la
magistratura quotidianamente aggredita, si è obbligati a non dividersi e a
capire che delle istituzioni
ci restano solo, come presidio, la Presidenza della Repubblica e la Corte
costituzionale. Il “popolo
viola” sembra aver compreso senza retorica e tragedie: vedremo sabato l’esito
delle manifestazioni.
Ma sono ancora molti che guardano indietro, si lamentano o pensano alle loro
personali teorie;
intanto il piano inclinato dello scivolamento distruttivo sta per toccare il
fondo e non sappiamo che
cosa potrà succedere se la Consulta annullerà le elezioni, mentre fabbriche e
imprese scaricano i
lavoratori, ormai alla fine della Cassa integrazione, compresi i sei mesi
aggiuntivi strappati in
Commissione da un emendamento bipartisan che il governo non approverà.
Giancarla Codrignani
in “Koinonia-Forum” n. 195 del 14 marzo 2010