Sostenibilità, fabbisogno energetico e scelte politiche

Intervista al Prof. Gianni Mattioli

 

1) Il fabbisogno energetico è in crescita. Ci dobbiamo aspettare momenti di vera e propria crisi? Quali saranno le fonti cruciali dei prossimi anni (petrolio, gas, altro...)?

 Il fabbisogno energetico mondiale è in crescita e noi stiamo già vivendo momenti di vera e propria crisi. Gli scenari dei futurologi sulle previsioni di esaurimento della disponibilità delle risorse fisiche cedono oggi il posto alla conta sanguinosa dei morti per una guerra che ha avuto forti motivazioni nel controllo dell’energia.

Gli esperti discutono se il picco della curva di Hubbert sulla produzione di petrolio – al di là del quale il costo del barile sarà incontrollabile - si situerà tra quindici anni o più in là, ma intanto c’è già chi ritiene che la salvaguardia delle economie e degli stili di vita delle nostre società richiede strategie “robuste” di geopolitica. Ma già per la guerra del ’91 contro l’Iraq, la limpida voce di Kissinger ripeteva senza ipocrisia che c’era un’unica ragione per dispiegare nel Golfo le armate e cioè che “il nostro benessere, la nostra occupazione, la nostra inflazione non possono certo dipendere da decisioni di altri, che di noi”. Ma potrà mai essere governabile un mondo in cui seicento milioni di abitanti usano tanta energia quanto gli altri sei miliardi?

E come fronteggiare l’apparire sulla scena di nuovi protagonisti – cinesi, indiani – decisamente avviati alle politiche dell’espansione?

Da qui l’urgenza di riconsiderare un impianto produttivo la cui generalizzazione appare evidentemente impossibile.

Ma “vera crisi” deriva oggi anche dallo sconvolgimento climatico connesso con l’impiego massiccio dei combustibili fossili. Nel 2002, la National Academy of Sciences pubblica il rapporto “Abrupt Climate Change” e svela quello che già, minacciosamente, è sotto gli occhi di tutti: quando un sistema fisico subisce una variazione strutturale significativa – e non è tale una variazione di concentrazione di CO2  del 30% in appena 150 anni ! – ciò che è a rischio è la stabilità degli equilibri e dei fenomeni periodici, quali sono i cicli climatici: il rapporto mette al centro “le sorprendenti nuove scoperte che improvvisi cambiamenti climatici possono accadere quando cause graduali portano il sistema terrestre al di là di una soglia”. Da qui la necessità perentoria di ripristinare le condizioni della stabilità e perciò la necessità di ridurre in modo drastico il ricorso ai combustibili fossili. Ma onorare gli impegni di Kyoto chiama in causa immediatamente l’impianto produttivo dei paesi industrialmente avanzati, fondamentalmente basato sui combustibili fossili.

La gravità del quadro sin qui richiamato è pari solo alla inadeguatezza delle culture politiche chiamate a fronteggiarlo nei paesi avanzati (e perciò maggiormente responsabili).

E’ in questo quadro che si pone la situazione del nostro Paese. In decrescita l’intensità energetica del Pil (quantità di energia necessaria per produrre un €), si può prevedere una modesta crescita del fabbisogno, che potrebbe essere azzerata dalle potenzialità di riduzione dei consumi legate ad uso più efficiente ed appropriato delle energie utilizzate: il Governo prevede (nello “Scenario tendenziale” predisposto per la Conferenza sull’energia, recentemente poi sconvocata) un aumento dei consumi al 2015 del 16%, che potrebbe essere azzerato dalla riduzione possibile dei consumi che il programma SAVE della Commissione europea individua per il nostro paese, addirittura a costo negativo, vale a dire che è un costo il non realizzarlo.

La particolare esposizione del nostro Paese alla importazione di combustibili fossili è un elemento di ulteriore debolezza che si aggiunge ai due fondamentali problemi – limite delle risorse, sconvolgimento climatico – sopra ricordati, ma non induce prospettive di crisi particolarmente più rilevanti per noi.

Più in generale, la necessità per chi acquista si intreccia con la necessità per chi vende, per cui sono improbabili crisi gravi – con motivazioni essenzialmente di carattere geopolitico - che si prolunghino in modo per tutti distruttivo. Al contrario, le questioni del limite delle risorse e dello sconvolgimento climatico appaiono difficilmente mitigabili ove non si intervenga con cambiamenti profondi.

 Sarà cruciale nei prossimi anni la questione del gas, in particolare  perché il suo impiego dimezza, a parità di energia prodotta, l’emissione di CO2

 

 2) Quali scelte dovrà fare la politica per garantire l'approvvigionamento al Paese? C'è una decisione che si può prendere in fretta per ovviare alla precarietà della situazione attuale? Dovrà l'Italia mettere in discussione la sua uscita dal nucleare?

 Obiettivo centrale di politica energetica deve essere la costruzione di una transizione che sostenga la progressiva riduzione dei combustibili fossili con il risparmio, l’uso efficiente, il decollo delle energie rinnovabili. Da queste voci possono derivare quote sempre più significative di sostituzione e sono queste le scelte principali da effettuare, con un certo ritardo rispetto a quello che stanno già facendo paesi come la Germania, la Danimarca, la Spagna o l’Austria. Ma realizzare questa transizione richiederà probabilmente troppo tempo rispetto all’urgenza che si profila. Dunque bisognerà accompagnarla anche con il cambiamento di stili di vita e di modelli produttivi: dalla produzione di quantità di beni per il soddisfacimento di bisogni individuali, bisognerà riorientarsi alla produzione di ben vivere collettivo: riqualificazione urbana, reti di mobilità, energie pulite, assetto del territorio, sicurezza alimentare, cultura della bellezza…Da qui verrà non pauperismo, ma più qualità della vita.

Il nucleare? I costi per mitigare gli effetti sanitari della radioattività nel funzionamento di routine degli impianti hanno reso così costoso il ricorso ai reattori che dal 1978 le imprese USA – che erano già private! – non hanno più ordinato nessun nuovo impianto e oggi il Department of Energy valuta il costo del Kwh nucleare a 0,07 €, il doppio del Kwh eolico! Generation IV, un consorzio di paesi guidato dagli americani, punta alla realizzazione solo per il 2025 di un prototipo di reattore di nuovo tipo. Da oltre 15 anni questa è la scelta operata da tutti i paesi del G7, con la eccezione del Giappone: la Francia, tramontata la motivazione della force de frappe, non ha più rinnovato gli impianti per il ciclo del combustibile, ha chiuso la sua tecnologia dei reattori a neutroni veloci e annuncia la realizzazione di un prototipo, ma di IIIa generatione. La Germania procede nel suo percorso di uscita dal nucleare. In ogni caso, l’energia nucleare non sarà  l’alternativa al petrolio: pur coprendo appena il 6,4% dei consumi mondiali, al ritmo degli attuali consumi c’è uranio commerciabile per 60-70 anni: se esso dovesse rappresentare l’alternativa al petrolio, saremmo già pronti a scannarci per il possesso delle miniere. Per non parlare di proliferazione militare e terrorismo (un milionesimo di grammo di Plutonio è la dose letale per inalazione). Sì dunque alla ricerca, ma bando ad illusioni che possono trovar credito solo in un paese di modesta cultura scientifica diffusa come il nostro.

 

 3) Come sarà possibile ridurre i costi dell'energia?

 L’innovazione tecnologica mirata a rendere più efficienti i processi è sicuramente uno strumento: è grazie al rinnovamento tecnologico degli ultimi anni che, ad esempio, l’industria energetica italiana ha potuto conseguire la “ progressiva convergenza dei prezzi medi dell’energia elettrica a livello europeo, dimostrata chiaramente dall’inversione di tendenza che spesso negli ultimi mesi ha caratterizzato i flussi di energia tranfrontalieri, con abituali esportazioni dall’Italia verso la Francia.”(Camera dei Deputati –  Indagine sui prezzi dell’energia in Italia, febbraio 2006)

Non mi cimenterò con avventurose previsioni sull’andamento dei mercati del petrolio o del gas, posso però dire che più efficienza energetica o aerogeneratori o pannelli solari termici  certo riducono i costi dell’energia per quote significative e crescenti.

 

 4) È opportuno liberalizzare: in che termini, fino a che punto? Ci sono dei modelli a cui ispirarsi in Europa? La borsa elettrica funziona o potrebbe migliorare?

 E’ convinzione diffusa che si è perseguita in Italia una privatizzazione senza liberalizzazione, che ha finito per trasformare monopoli privati in oligopoli pubblico-privati senza reale concorrenza. Il punto non è, a mio modo di vedere, l’assetto istituzionale – pubblico o privato – che si dà al settore, ma il ruolo che intende giocare la politica: cioè come intende governare l’accesso all’energia delle fasce sociali più deboli, la salvaguardia ambientale, l’innovazione tecnologica, la partecipazione dei cittadini-utenti al controllo della gestione. Se c’è un forte ruolo della politica, ben venga allora il ruolo del privato.

 

5) Qual è realisticamente il futuro della fonti rinnovabili? In che percentuale sarà possibile produrre energia per così dire pulita?

 Se si prende sul serio la gravità dei problemi che impongono subito il cambiamento dello scenario energetico, la domanda può apparire addirittura oziosa. In ogni caso, i tassi di crescita annuali delle fonti rinnovabili (eolico  +23,9%, solare +6,3%, …(IEA))  mostrano come questi settori siano in fase di rapidissima crescita, destinata a durare nei prossimi anni, e comincino a spostare quote importanti di economia e di occupazione: si indicano in 150.000 gli addetti al settore delle rinnovabili in Germania, (contro i circa 500 in Italia!). Ricordiamo che l’obiettivo comunitario è quello di coprire con le fonti rinnovabili il 22% della produzione di energia elettrica al 2010, ma non è credibile che l’Italia, nel vuoto di politica energetica che la caratterizza, pervenga al 25% che le è assegnato.

In conclusione, alla domanda su che percentuale si potrà avere di produzione di energia pulita va risposto che essa dipenderà dalle scelte che si effettueranno in questa direzione.

 

Prof. Gianni Mattioli, ex Ministro e docente di Fisica all'Università La Sapienza di Roma       (pubblicata da "Vita e pensiero", Marzo 2006).