La visibilità dei
cattolici
«Cristiani in politica: il mito della visibilità»: con questo titolo
l'autorevole rivista cattolica «Jesus»
sintetizza la crisi della presenza cattolica nella politica italiana. Una
presenza che assomiglia molto
ad una assenza, soprattutto se la si confronta con la presenza di qualche
decennio fa.
Era il tempo della Democrazia Cristiana, che si confrontava sia con la destra
che con la sinistra e
occupava la piazza di centro. Una presenza ben visibile, che garantiva i
diritti del cattolicesimo,
anche se non sempre quelli della laicità dello stato.
Una presenza di gruppo, di partito. Ben diversa da quella dei singoli cattolici,
come è stato - ed è in
altri paesi come, ad esempio, in Francia. Ci chiediamo, quindi, come sia
nata questa ossessione
italiana della visibilità cattolica di gruppo e come mai questa visibilità sia
entrata in crisi.
Alla prima questione è la storia a fornire una risposta. La storia ricorda le
grandi formazioni
politiche con le quali i cattolici si sono trovati a dover convivere - prima il
fascismo e poi il
comunismo - rischiando sia l'annientamento che la soppressione.
Era - forse - necessario «fare gruppo» per non finire annientati o dimenticati.
Affinché il
cattolicesimo non finisse, come si suol dire, «in camera da letto», in una
morale, cioè, soltanto
privata.
Non è stato più così negli ultimi tempi: per questo motivo sembra esaurita la
necessità della
«visibilità» di gruppo (partito).
La laicità può oggi ritrovare il suo posto nella pubblica piazza, dove ciascuno
può essere se stesso e
dire la sua, senza bisogno di un pubblico altoparlante e di uno spazio pubblico.
Senza bisogno di un
pulpito che non lo faccia scomparire.
I cattolici possono essere presenti e vivi in politica anche senza il
gruppo (partito) che li unisca e li
rappresenti. Vivi e visibili e responsabili come tutti gli altri.
Singoli coscienti della loro fede e anche
della laicità.
Filippo Gentiloni il manifesto 7 marzo
2010