Né Bonino, né
Binetti, il problema è la laicità
Ho in mano, appena uscito, un bel libro, curato da Guido Formigoni, che
raccoglie scritti ecclesiali
e politici di Giuseppe Lazzati dal 1945 al 1986; e sono tentata, dopo la lettura
di Europa del 20
febbraio, di chiedere all’editrice san Paolo di mandarne una copia omaggio a
Paola Binetti e a Luigi
Bobba. Potrebbe aiutarci a capire di cosa stiamo parlando.
Formigoni ricostruisce con acume il cammino di un giovane cattolico degli anni
’30 verso una
laicità che non nasce dalla politica – sarà la politica a nascere dalla laicità
– né da una sorta di
concessione all’avversario; nasce entro una spiritualità che assume il compito
di una trasformazione
cristiana della realtà, che la ordina sì secondo Dio, ma a partire dalla ragione
condivisa nelle
coscienze singole di uomini e donne. Nel cammino che va dalla
valorizzazione della Lettera a
Diogneto al Concilio vaticano secondo, alla lezione definitiva di Verona del
1977, alla fondazione
di Città dell’Uomo, si disegna «un laicismo che esige una doppia fedeltà a
Cristo e alla propria
autonomia, che esige insieme una misura di competenza proporzionata al livello
in cui si opera».
Quel cammino resta straordinariamente attuale, di fatto l’unico possibile, di
fronte a una società
multietnica e culturale; ma è sostanzialmente irrisolto, per il blocco imposto
sulla teologia del
laicato, la pratica di una mediazione politica tutta esercitata dalla gerarchia,
attraverso l’imposizione
di normative vincolanti, la tentazione di un clericalismo di ritorno.
Tutte le polemiche fra cristiani nascono da qui.
E mi sembra inutile rallegrarsi di fronte a quello che è uno
scacco di tutti, di chi va e di chi resta, ma
uno scacco assai più drammatico dell’uscita personale da un partito. O
davvero si rimette al centro
che cosa è la laicità strutturale, originaria, della fede cristiana, una laicità
che è anche, nelle cose di
quaggiù, autonomia di giudizio personale, o la testimonianza dei cristiani sarà
sempre più degli uni
contro gli altri.
L’irrisolto delle forme della presenza cristiana si aggrava se si inserisce
nelle perduranti ambiguità
Partito democratico: da una parte un disegno politico radicalmente innovatore,
l’Ulivo, oltre i
vecchi steccati, accolto con entusiasmo nel paese con le prime esperienze di
intreccio fra storie
politiche diverse; dall’altra l’idea di una risposta obbligata a una drammatica
necessità, che si
traduce in una logica sommatoria di gruppetti identitari (non sono nati così
anche i teodem?) che dà
forza alla consolidata oligarchia nella direzione politica.
Ma il problema chiave che ci riguarda è quello di che significa oggi
laicità.
Non sono d’accordo con le considerazioni di avvio del
documento “PeR”, di cui ha parlato Bobba,
che fonda il ripensamento del tema della laicità come conseguenza positiva della
rinascita religiosa
del nostro tempo. Se c’è qualcosa che ne accentua la drammaticità è
proprio il carattere ambivalente
di questa rinascita. Siamo di fronte, nell’universo mussulmano come in
quello indù, nelle chiese
protestanti come in quelle cattoliche, a una serie di rischi che non possiamo
ignorare:
fondamentalismo, ricerca d’identità, commistione fra religione e difesa
dell’identità nazionale,
funzione di rassicurazione e di garanzia normativa di fronte ai pericoli del
nuovo e del diverso; e
ancora un intreccio contraddittorio fra la spettacolarizzazione massima del
sacro e una
globalizzazione vissuta come estraniazione e costrizione. Su questo
terreno, da cui nasce anche un
forte potere contrattuale delle religioni come istituzioni, non solo non fa
passi avanti la laicità, ne fa
indietro anche il “dare a Dio quello che è di Dio”.
Ed è questa base di fondamentalismo che fa identificare il mutare delle
sensibilità e delle attese
sulla nascita e sulla morte, l’emergere delle soggettività, tutta genericamente
col relativismo, come
insomma qualcosa da reprimere e da punire.
Non si tratta, come scrive la Binetti, di separare questione
sociale (aggiungerei, politica e
costituzionale) da questione antropologica. Si tratta di affrontarlo davvero il
tema antropologico,
non chiuderlo in risposte già date una volta per tutte (o addirittura negando il
carattere di atto
terapeutico all’alimentazione col sondino), per tutto quello che va mutando in
radice entro
l’esperienza umana, ascoltando le voci, i bisogni, ciò che emerge dalle
condizioni materiali,
tecnologiche e psicologiche.
Lo spartiacque fra cattolicesimo democratico e clericomoderatismo è segnato da
ciò che motiva e
anima il proprio impegno politico: le ragioni di tutti, a partire dal buon
uso delle istituzioni, in
primo luogo come cittadini fra cittadini, pur entro le proprie convinzioni, o le
ragioni della fede, gli
interessi della Chiesa, che possono finire col costituire un vincolo esterno.
Entro questa dialettica non risolvibile qui, si colloca anche
la questione Bonino che ha provocato la
decisione di Paola Binetti di uscire dal partito. La mia personale riflessione è
stata diversa.
Emma Bonino ha sempre avuto un forte popolarità, in parte legata a battaglie che
non ho condiviso,
in parte meritata per la sua efficienza e coerenza anche nell’azione di governo.
Ma in questa
occasione c’è stato uno scatto in alto di questa popolarità oltre le soglie di
quello che poteva
accadere vent’anni fa. Perché? La Chiesa e i cristiani se lo dovrebbero
chiedere. Mi pare indubbio
che a dare forza alla candidatura Bonino, a dargliene tanta da sconsigliare al
Partito democratico
una contestazione difficile, non è stata un’imprevista conversione al
radicalismo, è stata la reazione
diffusa, il disagio, di credenti e non credenti, contro l’interventismo
ecclesiale.
Un interventismo che fra l’altro, dalla fecondazione assistita, ai Dico, dal
testamento biologico al
diverso trattamento fra scuole pubbliche e scuole private, ha umiliato politici
autenticamente
credenti, che avevano esercitato con equilibrio e efficacia la loro funzione
mediatrice, da Tonini a
Bindi e Ceccanti, da Marino a quelli che firmarono un ben noto documento
Franceschini.
Non credo che la Chiesa sia uscita più forte da quegli interventi;
oggi in più si trova esposta, forse a
torto, sul piano mediatico, entro i conflitti, i limiti, gli scandali veri e
presunti di una maggioranza
non proprio edificante, che lei ha sostenuto e da cui è stata sostenuta nelle
sue richieste.
Questo mi preoccupa più della candidatura Bonino, più dell’uscita della Binetti
dal Pd.
Paola Gaiotti De Biase Europa 25 febbraio
2010