L'ora della
religione emotiva fatta per cercare se stessi
Che connotati assume nel nostro mondo occidentale di antica matrice cristiana il
"ritorno" della
spiritualità, che da più parti si intravede? E cosa può significare questo in
una società per altro verso
sempre più secolarizzata, in cui sembra prevalere l'affermazione di appartenenza
esteriore a una
determinata tradizione religiosa - in particolare quella cristiana -
svincolata dall'intima adesione a
quella credenza e dalla coerenza dei comportamenti? "Fedeli" sempre più
infedeli.
Alcuni filoni mi paiono emergere quali catalizzatori del
riemergere della spiritualità. Innanzitutto il
diffondersi di religiosità a struttura psicologica materna, fusionale,
emozionale in cui la soggettività
dell'individuo assurge a finalità: si ha allora un Dio depersonalizzato che
finisce per dilatarsi e
diluirsi in un oceano di emotività che tutto comprende, un sincretismo che
minimizza o annulla le
differenze creando una sorta di "vulgata" religiosa buona per tutti.
Questo fenomeno, sovente definito "religions à la carte", è ormai da
tutti riconosciuto.
Ma assistiamo anche, specularmente, alla deriva settaria
che, attraverso un forte coinvolgimento
personale, un'intensità emotiva e una rigida chiusura intra-comunitaria,
fornisce identità certa ai
disorientati da questo indifferentismo religioso: è una deriva che conosce non
solo la tipica
dimensione della cerchia dei "puri e duri", spesso tradizionalisti in cerca di
un tesoro perduto, ma
anche quella, più attraente e rassicurante, di comunità a dimensione
internazionale in cui si
privilegiano temi e comportamenti religiosi emotivi che evadono dalla
storia ma assecondano
l'attuale individualismo e la dimensione terapeutica della persona: è la
via della "spiritualità
debole", alimentata da tematiche come la cura di sé e della propria armonia
interiore, la ricerca di
sicurezza e gioia, il rappacificante abbandonarsi ai sentieri dell'emozione.
È tornata la religione –
potremmo sintetizzare – il senso del sacro, ma Dio no! Né tanto meno la fede
cristiana vissuta
nell'appartenenza a una chiesa che ne contiene e garantisce memoria e
continuità.
Più raffinato e destinato a pochi è il percorso di chi
ripropone una mistica di alta qualità, che si
ricollega a un filone della spiritualità occidentale medievale, costellato di
rare ma autorevoli figure.
Il fascino di questo cammino però sbiadisce quando abbandona l'humus
biblico che lo ha generato e
imbocca una strada più filosofica e ideologica che spirituale, a volte
addirittura gnostica,
platonizzante nel disprezzo e nella rimozione della "carne" a vantaggio
dello spirito. Sì, siamo
lontani da una spiritualità fedele al vangelo che chiede con urgenza di vivere
la dimensione
comunitaria e di trovare convergenze con gli uomini nell'edificazione della
polis, che è attenta agli
ultimi sempre presenti nella storia, che tiene desta la riserva escatologica
dalla quale nasce la
speranza che, a sua volta, o è condivisa o non è.
Credo che, in questa stagione più che mai, la spiritualità
cristiana avrebbe invece molto da
guadagnare da una riscoperta del valore delle realtà terrene "penultime"
– come le definiva
Bonhoeffer – da una rinnovata centralità della Parola di Dio che ha voluto
farsi "carne", cioè
concretezza e fragilità umana: una simile fedeltà alla terra diviene allora
attesa, garanzia e pegno di
cieli e terra nuovi, annuncio credibile di una fede che, sorreggendosi
sull'amore, va oltre la morte e
la vince. Forse quanto emerge dalla diffusa "sete di spiritualità" dei nostri
giorni è una richiesta di
contemplazione autenticamente cristiana, un desiderio di conoscere e incontrare
uomini e donne
abitati dallo Spirito, capaci di guardare il mondo con gli occhi di Dio, di
contemplare la realtà non
per come virtualmente appare, ma per come si presenta nella sua luce più
autentica, quella che si
sprigiona nel rapporto con l'Altro.
Emerge anche un invito accorato a riscoprire la dimensione
della
sapientia, del "gusto" della presenza di Dio raccontato nella vita umana
di Gesù di Nazareth: la
spiritualità allora sarà chiamata a declinarsi quotidianamente nella storia
per ridarle senso, a
incarnarsi in "luoghi" precisi in cui possa avvenire la trasmissione di un
patrimonio universale, a
narrare l'agire di Dio attraverso semplici vite segnate dal rapporto personale
con lui e con la sua
parola. La spiritualità cristiana si libererà così dalla fuga nell'utopia, nel
"non luogo" di estasi
paradisiache, e darà prova di credibilità ed efficacia non nell'occupazione di
spazi sociali e politici,
ma nell'assunzione responsabile della costruzione della polis, attraverso
storie personali di santità e
luoghi comunitari di libertà. Infatti, l'autentica ricerca di Dio – che
nel cristianesimo non è mai
disgiunta dalla ricerca dell'uomo – non può prescindere dall'ascolto di ciò che
arde nel cuore
dell'altro, dei suoi dubbi e delle sue lacerazioni: spiritualità
autentica sarà allora capacità di
discernere e prendersi cura di ogni essere umano che porta in sé, magari
assopita o contraddetta ma
sempre presente, l'immagine di Dio.
Enzo Bianchi
la Repubblica 13 febbraio 2010