Sartori e lo scontro di civiltà

Il dibattito sull'Islam in corso sul Corriere della Sera oppone i fautori dell'integrazione dei
musulmani (Tito Boeri, in fondo anche Sergio Romano) a Giovanni Sartori, che invece la ritiene
pressoché impossibile. Al di là dei toni, che nel caso di Sartori sono a dir poco aspri, in gioco è
soprattutto il buon senso contro una visione del problema che si vuole scientifica e oggettiva, ma in
realtà è ampiamente condizionata da un'ideologia del rifiuto.

Basterebbe ricordare a questo proposito gli esempi storici richiamati da Sartori nell'articolo che ha
dato avvio, il 20 dicembre 2009, alla discussione: l'impero Moghul, la scissione tra Pakistan e India,
la re-islamizzazione della Turchia, le rivolte dei banlieusard in Francia, per non parlare del
fondamentalismo contemporaneo. Una cavalcata in cinque secoli e in svariati paesi di due
continenti che dimostrerebbe l'impossibilità dei musulmani di integrarsi in altre società. È
ovviamente impossibile discutere in termini così generici. A chi ha fatto notare (Romano) che in
tema di integrazione dei migranti, musulmani e no, le variabili sono assai complesse, Sartori ha
risposto, con la consueta alterigia, che a uno scienziato sociale come lui interessano solo le variabili
"dominanti" e non la complessità storica.
Se quindi, parole sue, uno o due musulmani su un milione
diventano terroristi, ecco manifestarsi la variabile in questione, tanto più che, infiammati
dall'esempio, "centinaia di milioni" di musulmani potrebbero ritrovare l'"orgoglio di antica civiltà"
ecc.

È veramente curioso che uno studioso noto come uno dei massimi esponenti della politologia
scientifica ricorra ad argomenti simili. Nulla esclude che qualcuno decida di seguire l'esempio del
giovane nigeriano - tanto più, quanto più i fronti di guerra in cui sono coinvolti paesi abitati da
musulmani si moltiplicano. Ma che "centinaia di milioni" vi vedano un motivo d'orgoglio è una
pura e semplice fantasia, che si può spiegare solo con il successo del modello dello "scontro di
civiltà" tra gli intellettuali.

Il punto è che questo modello, applicato oggi esclusivamente all'Islam, è una sorta di profezia che
potrebbe auto-avverarsi. Tanto più si levano gli scudi contro i migranti, si stigmatizzano i
musulmani, si nega o ritarda all'infinito la cittadinanza, tanto più si può alimentare il senso di
rivalsa di qualche disperato. Di conseguenza, l'idea della cittadinanza come "premio" invece che
come strumento di integrazione (idea che Sartori sembra condividere con l'attuale governo), è un
fattore di conflitto e non di pacificazione sociale.
Tra l'altro, diversamente da quello che pensa
Sartori, il caso delle periferie francesi mostra che è proprio la mancanza di diritti e non la religione,
anche tra i giovani musulmani, a provocare le rivolte.
Ma Sartori può stare tranquillo, per il momento. Con il rinvio della legge sulla cittadinanza, la
maggioranza di destra ha mostrato di muoversi nella stessa logica del politologo. E l'opposizione
parlamentare non dà segni, per lo più, di pensarla troppo diversamente.


Alessandro Dal Lago      Liberazione  7 gennaio 2010