Più sostanza, meno forma

Che il simbolo della sua croce fosse usato dalla Chiesa come emblema identitario, passi; ma che
divenisse ragione di lesa maestà, Gesù Cristo proprio non se lo sarebbe aspettato.
Stupisce - forse
siamo ingenui - che in Italia faccia scalpore la resistenza ad accogliere la sentenza della Corte di
Strasburgo, che ha condannato il governo italiano a eliminare il crocefisso dalle aule scolastiche.

Sorprende anche la reazione del cardinal Bertone che teme, una volta tolto il crocefisso, restino le
zucche di Halloween, ma non ha mai commentato - lo denuncia Il Sole 24ore - le croci che pendono
dai percing, sui seni, nei portachiavi. Non è la prima volta che la Chiesa cattolica italiana mostra di
avere paura e reagisce nella maniera più controproducente per le sorti future del Cristianesimo. La
cui decadenza sarebbe una cosa seria, anche se i tentativi recenti di riportarlo al Concilio di Trento
sembrano il più grave attentato alla sua sopravvivenza.


La realtà che paralizza il Vaticano non si riferisce solo alla caduta del numero, non solo in Italia, dei
fedeli e anche dei praticanti tradizionalmente devoti, i cui figli tranquillamente convivono o
divorziano; inquietano le riflessioni di teologi più coraggiosi che tentano di intendere in positivo le
innovazioni scientifiche rifiutando la fissità dogmatica di una "natura" tradizionalmente tramandata,
e che si pongono interrogativi sul senso sacrale della Scrittura e addirittura non disprezzano il
politeismo. Tutte le persone da poco andate in pensione - e certamente quasi tutti i cardinali anche
non pensionati - hanno subito alle elementari la visione del crocefisso sospeso a fianco o sopra (non
in mezzo per evitare l'analogia con i due ladroni) i ritratti di Vittorio Emanuele III e di Mussolini.
Anche allora valevano l'imposizione della legge del 1923 e, insieme, l'indifferenza di scolari e
maestri che, anche se recitavano la "preghierina", mai levavano lo sguardo per un esercizio di pietà.
Oggi neppure l'insegnante di religione pensa di dovergli uno sguardo e gli assessori comunali
confessano che almeno da venticinque anni non si registrano acquisti di crocefissi per le scuole.
L'indifferentismo non lo si affronta con la restaurazione di simbologie tradizionali ormai di debole
significato, ma con la ripresa del valore: non il crocefisso andrebbe tenuto nelle aule, ma il cartello
delle Beatitudini.
Allora, forse, qualcuno ricorderebbe la sostanza dell'essere cristiani e laici nella
speranza.

Poi un interrogativo di merito: come facciamo a dare spazio - e rispetto - agli ebrei e agli islamici
che ritengono improponibile, anzi blasfema la raffigurazione del divino? Oppure non ci abbiamo
mai pensato (sebbene la proposta sia teologicamente provocatoria anche per i cattolici)?

Giancarla Codrignani      in “Viator” n. 11-12 novembre/dicembre 2009