Croce e cassoeula

Perché il cardinale, anzi l’imam Tettamanzi non difende il crocifisso ma i rom?, si interroga dal suo
autorevole pulpito il Calderoli. Tiro a indovinare: forse perché lo sgombero di un campo alle porte
di Milano ha lasciato all’addiaccio, sotto le stelle fredde di dicembre, decine di bambini che
frequentavano regolarmente le scuole cittadine, unica soluzione per inserire sul serio il famigerato
«straniero» nella nostra società? Forse perché difendere l’umanità inerme, comunque si chiami e
qualunque sia il suo colore, equivale a difendere il crocifisso nella sostanza e non solo nella forma?

A differenza del noto teologo leghista, e del suo collega di partito che durante una discussione
pubblica, a Genova, ha difeso le ragioni del catechismo a suon di bestemmie, non sono un esperto
del ramo.
Però suppongo che se il titolare della ditta scendesse dal crocifisso per fare due passi in Lombardia,
andrebbe più d’accordo con Tettamanzi che con Calderoli. Non foss’altro perché il primo cerca di
riempire i simboli di contenuti - per esempio il rispetto, per esempio l’amore - mentre il secondo
tratta il cristianesimo come il risotto allo zafferano o la cassoeula: elementi di identità sganciati da
qualsiasi significato che non sia un tributo doveroso alla tradizione e in qualche caso alla nostalgia.

Molti poveri cristi italiani pensano che, senza stranieri, ci sarebbero case e mestieri migliori per
loro. E molti altri, che poveri cristi non sono, ritengono che l’unico modo di sopravvivere
all’invasione consista nell’acquattarsi sopra le proprie radici. Forse merita di essere ascoltato anche
chi, come Tettamanzi, quelle radici non si limita a proteggerle, ma cerca di protenderle verso l’alto.
Immaginando una Milano che, oltre che nella croce, nella Madonnina e nella cassoeula, si identifica
nella capacità di dare un tetto e un’istruzione a tutti i bambini.


Massimo Gramellini     La Stampa 8 dicembre 2009