L’ora di religione
Chiesa. Via libera del Vaticano alla religione islamica nelle scuole: tutto va bene, purché si riconosca che i laici restano, sempre e comunque, una minoranza

La decisione del cardinale Raffaele Renato Martino, presidente del pontifico Collegio giustizia e pace, ha tutto l’aspetto di una importante apertura, nel segno del rispetto reciproco. Si approva l’insegnamento della religione islamica nelle scuole italiane, secondo quanto richiesto da un documento dell’Ucoii, l’unione di comunità islamiche che fa riferimento ad Hamza Piccardo, nel quale si chiedeva anche di aggiornare e modificare i libri scolastici che contengono “notizie palesemente false sull’Islam e i musulmani” e di inserire la lingua araba come materia di studio facoltativo.

Semmai, una prima nota di perplessità potrebbe venire dal fatto che un cardinale esprime la posizione vaticana sull’insegnamento nelle scuole italiane, fornendo un’autorizzazione che difficilmente è legittimata a dare.

Ma, in fondo, siamo abituati a ben peggio, e si potrebbe anche lasciar perdere, in nome del fondamentale dialogo tra religioni. Solo che la questione è proprio quella del dialogo: il principio è che “se ci sono delle necessità, se in una scuola ci sono cento bambini di religione musulmana, non vedo perché non si possa insegnare loro la religione”. Insomma, ognuno ha diritto a imparare la propria religione, all’interno della propria scuola, pubblica o privata che sia. L’importante, verrebbe da aggiungere interpretando quello che forse è il fondo inespresso di questa posizione, è avercela una religione. Poi si può anche concedere l’esistenza di altri gruppi, purché sia chiaro che l’appartenenza religiosa è il valore fondamentale.

Insomma, esplicitando fino in fondo il ragionamento, si arriva a questo punto: la religione cristiana va insegnata in tutte le scuole, come regola generale, visto che è quella praticata dalla grande maggioranza. Poi, se proprio si deve, si insegni quella islamica, o quella ebraica, nei pochi casi in cui musulmani o ebrei sono in maggioranza. Insomma, lo Stato viene visto come un insieme di comunità, ognuna legata alla propria fede e ai propri riti, che li perpetua utilizzando le strutture dello Stato stesso.

Il rapporto tra queste diverse religioni diventa così il rapporto tra le diverse comunità, ognuna tesa a ribadire la propria identità. Tutto questo, mediato da un clima di rispetto reciproco che è semplicemente la decisione che è meglio convivere che sgozzarsi, ma sempre nell’intima convinzione che la propria è la fede giusta.

Chiaramente, in tutto questo laici, atei e agnostici sono sostanzialmente esclusi dal consesso civile, ma forse nemmeno questo è il punto fondamentale. L’aspetto agghiacciante è questa stasi mortifera delle identità, che colonizza ogni spazio pubblico e arriva, con estrema facilità, a riconoscersi come padrona in casa propria, accettando magari che il vicino di casa sua possa fare come vuole, ma sempre facendo prevalere i propri precetti sulle istanze generali, e perciò aconfessionali.

Il legame tra le parole del cardinal Martino (o quelle di Piccardo) e la pretesa di imporre le posizioni religiose alla collettività, come accade ad esempio nel campo della sessualità, della famiglia e della riproduzione, è fortissimo. In tutti questi casi, altro non si fa che ribadire come il discorso religioso sia l’unico legittimato a decidere nelle questioni etiche, e a ribadire la supremazia di questo piano sugli spazi di discussione e di convivenza pubblica.

Si capisce allora perché Martino si sia sentito autorizzato a intervenire, e si coglie il motivo sottostante al clima di grande vicinanza tra la Chiesa e l’Ucoii, entrambe realtà che nascono essenzialmente per realizzare un progetto nel quale l’identità collettiva connotata in senso religioso è la sfera suprema delle relazioni umane e del vissuto culturale. Il principio, insomma, è che se la tua famiglia è musulmana a scuola ti insegnano il Corano e l’arabo, se è cattolica ti tocca il catechismo. E la scuola, luogo pubblico per eccellenza, in cui si dovrebbe formare il primo abbozzo di cultura dei cittadini, deve essere messa al servizio di queste appartenenze.

Non esiste, insomma, alcuna sfera superiore a questa, nella quale trovino spazio le forme e le pratiche del vivere civile al di là delle appartenenze: nessuna sfera del diritto civile, della libertà di coscienza, della cultura laica, della sovranità dello Stato, ma solo tante comunità l’una accanto all’altra.
Nel convergere di questi fondamentalismi, come sempre, a rimetterci è l’idea moderna di democrazia, per cui i singoli cittadini, dotati di un apparato di diritti universali, sono soggetti a un insieme di leggi valide per tutti, decise democraticamente, che non discriminano nessuno ma che prescindono completamente dalle appartenenze. Il risultato è che, alla fine dei conti, la modernità, ridotta a tolleranza, viene riassorbita nel ventre di santa madre Chiesa, da cui era riuscita a strapparsi a viva forza.

 

Nane Cantatore     AprileOnLine. n.119 del 10/03/2006