L'islamizzazione del cattolicesimo


A distanza di parecchi secoli dal tempo del primo incontro-scontro, il cristianesimo si trova oggi a
dovere fare i conti con l'islam. Soprattutto il cristianesimo cattolico, e non soltanto a motivo
dell'aumento degli immigrati musulmani in Europa e del molto reclamizzato referendum svizzero
contro i minareti.
Oggi il confronto con l'islam assume toni e modalità nuove, dovute alle novità culturali dirompenti:
basti pensare al ruolo dei mass media. Niente è più come prima, neppure nel confronto fra le
religioni.
Si potrebbe dire che il cattolicesimo si sta islamizzando. Prima di tutto per la prevalenza di quella
che chiamiamo «religione civile», una espressione che è nata negli Usa ma che ormai vige anche da
noi. La religione tende ad abbandonare i «misteri» e a concentrare i suoi sforzi e il suo impegno nel
sostenere la società civile.

In altri termini: dominio dell'etica, un'etica pubblica che dovrebbe orientare la vita della società.
Questa - la società - chiede aiuto alla religione. Non le chiede tanto delle verità dogmatiche quanto
degli aiuti per il benessere sociale. E, in cambio di questi aiuti, la società - lo stato - concede volentieri alla religione il suo aiuto e la sua promozione.

È la vita tradizionale dell'islam, una vita che si sta imponendo anche da noi.
Si può dire che nel cattolicesimo si sta islamizzando anche il rapporto fra vertici e base. Meno
obbedienza e più «fai da te».

L'imam è ben diverso dal parroco e dal vescovo, e la folla della Mecca non assomiglia, se non in
maniera molto superficiale, a quella di piazza San Pietro. Alla Mecca, d'altronde, non esiste un
Vaticano.
Forse nell'islam il rapporto fra la base e i vertici è più adatto alla cultura moderna e questo potrebbe
spiegare il grande successo dell'islam soprattutto nei paesi emergenti.
Un rapporto orizzontale - fra credenti - molto forte, a scapito di quello verticale fra base e vertice.
Ma è difficile prevedere che cosa riserveranno al mondo cattolico i decenni futuri.

Filippo Gentiloni      il manifesto 6 dicembre 2009