L'ITALIA S'E' PERSA
Non so che cosa vede guardando l’Italia dall’alto del Quirinale. Non so come arriva lassù il grido di Berlusconi “I giudici ci spingono sull’orlo della guerra civile”. Quella che segue è una libera interpretazione.
Il presidente della Repubblica pronuncia un discorso sull’Italia, il suo Risorgimento, la sua unità, la sua Costituzione, il suo ruolo nella storia contemporanea, la sua fiducia nel futuro, preparato da coloro che hanno dato passione e vita per fare e poi per liberare il paese.
Il presidente della
Repubblica si volta e l’Italia non c’è.
I notabili si tengono lontani dai progetti di celebrazione dell’unità d’Italia.
C'è poco tempo per essere pronti, ma non ci sta pensando nessuno. I cittadini
sono distratti. O sono sui tetti a reclamare il lavoro. Oppure sono pronti a
votare di nuovo come hanno già votato perché nessuno finora gli ha raccontato
con forza e chiarezza la vera storia.
L’Italia non c’è, tanto che il tricolore viene sventolato allo stadio di
Bordeaux per gridare (lo gridano tifosi di passaporto italiano): “Se
saltelli muore Balotelli”.
Si riferiscono al cittadino italiano e nero
Mario Balotelli. Smettono
quando i dirigenti della nobile squadra Juventus fanno notare che potrebbero
esserci conseguenze sul punteggio della squadra.
Quanto all’Italia, non parla nessuno.
Un mare di decisioni razziste di sindaci e di governo nega che sia mai esistito un paese rispettabile con quel nome. E la Storia di questo paese (proprio la Storia, con l’iniziale maiuscola, quella di Mazzini, Gioberti, Garibaldi, quella della Repubblica Romana, del Risorgimento, della Resistenza) finisce lì.
Adesso è un paese che intrattiene saldi e proficui rapporti (forse non proficui per tutti, certo per alcuni) solo con la Russia di Putin e la Libia di Gheddafi.
È un paese che non ha
peso, prestigio o immagine in Europa.
Tanto che viene spinto indietro nella corsa alle nomine del governo europeo
senza perdere tempo in spiegazioni. Un paese così estraneo ai nuovi equilibri
del mondo che si precipita, non richiesto, a offrire soldati – come in un rito
medievale – per farsi notare e sperare di incassare almeno un generico elogio.
Il presidente della Repubblica si
volta e non trova l’Italia.
La racconta lo storico Lucio
Villari nel libro
“Bella e perduta, l’Italia del Risorgimento” (Laterza, 2009).
Racconta delle persone, degli anni, degli eventi che hanno costruito dal niente
e collocato con forza in Europa un paese che prima non c’era. Ma è bene non
equivocare. L’autore non sta ripetendo il rito che ormai è diventato costume:
gli intellettuali tacciono, scrivono, depositano in silenzio un nuovo libro e
tornano a uscire discretamente di scena perché sanno o sentono che nell’Italia
di questi anni non hanno – e preferiscono non avere – alcun ruolo.
Lucio Villari, con il suo testo, stila l’atto di morte dell’Italia che narra, fatta di eroi nobili ed eroi popolani, di soldati e volontari, di poeti e contadini, di maestri e scolari, di celebri e ignoti, di nomi di strade e di memorie comuni. Ogni capitolo certifica che non c’è più niente di ciò che fino a poco tempo fa molti di noi hanno studiato a scuola, la parte bella e fondante di un nuovo Stato-nazione in Europa.
Il presidente della Repubblica si volta e trova di fronte a sé un paesaggio da Piranesi, reso più squallido dal protagonismo perverso di chi adesso fa la voce grossa.
Il nord è dominato da bande secessioniste che guadagnano sugli immigrati e poi li perseguitano. Lo fanno con leggi che riescono ad ottenere governando da una capitale che chiamano “Roma ladrona”.
Il sud è corroso da una feroce criminalità organizzata, che ha i suoi emissari nei governi locali ma anche – come ci informa la magistratura – nel governo di Roma.
Il nord viola apertamente la Costituzione, frantumando non solo lo Stato-nazione Italia, ma anche le regioni, secondo i dialetti e le ordinanze crudeli e distruttive dei sindaci-padroni contro gli zingari, contro gli immigrati, contro gli italiani che si ostinano a parlare italiano.
Il sud sta pensando a un
suo governo che vuol dire protezioni, privilegi, banche e rifiuto delle leggi.
Il governo di Roma è un centro di affari personali a cui piega tutta l’attività
del Parlamento e ciò che resta della vita internazionale italiana.
Il presidente della Repubblica si volta e non
vede in molte aule comunali e in molti luoghi pubblici il suo ritratto
che, fino a poco fa, era simbolo dell’unità del paese. Resta una croce che però
non è simbolo di fraternità ma di divisione e persecuzione.
Leggete il libro “Italia bella e perduta” di Villari come si legge il
testamento di ciò che è stata l’Italia. Provoca un’immensa nostalgia, ma
non la fa rinascere. Una politica di opposizione, accanita e carica di passione,
come il Risorgimento, come la Resistenza, potrebbe. Ma non ce n’è alcuna
traccia.
Furio Colombo Il Fatto Quotidiano 29/11/2009