La sovranità ad
personam
L'accorato appello di Carlo Azeglio Ciampi ci porta – con la sua altissima
risonanza emotiva – a
una stagione morale della politica che sembra ormai remota: la stagione
della democrazia
costituzionale e della repubblica parlamentare. Ci riporta al suo
pathos per la libertà e al suo ethos
di rispetto delle istituzioni, presidi della vita collettiva e del suo ordinato
svolgimento secondo
l'uguaglianza e il diritto (per non parlare della decenza). Una stagione che si
pretende trascorsa e
ormai finita, sostituita da un'altra, nuova e ormai alle porte, di cui si
celebra l'avvento; una stagione
che andrebbe riconosciuta nella sua ineluttabilità, e che meriterebbe il
sacrificio della costituzione
formale, ormai obsoleta, che dovrebbe essere adeguata alla splendida aurora
della nuova
costituzione materiale. Il cui contenuto fondamentale sarebbe un innovativo
esercizio – libero,
diretto e costituente – della sovranità popolare, che potrebbe oggi finalmente
esprimersi senza la
mediazione soffocante delle istituzioni, senza il vincolo della Legge,
senza l'ossessione per l'ordine
costituito.
E l'occasione per questo spontaneo manifestarsi del popolo e
della sua volontà sovrana sarebbe data
dalla persona empirica e singolare di Silvio Berlusconi, il presidente del
Consiglio che appellandosi
a essa intende sottrarsi – con tutti i mezzi che la fantasia dei suoi avvocati e
dei suoi ministri può
escogitare – alla legge ordinaria, alla comune uguaglianza giuridica che lega
tutti i cittadini di una
nazione democratica. Una eccezionalità, una straordinarietà, che gli sarebbero
dovute in virtù del
suo essere primus super pares fra i ministri (qualunque cosa ciò
significhi), nonché direttamente
votato dal popolo non come deputato – che rappresenta tutta la Nazione, come
ogni altro
parlamentare eletto – ma direttamente come capo del governo. Un
cortocircuito fra potere esecutivo
e popolo, dunque, che taglia fuori il potere legislativo, il Parlamento,
spodestandolo, nella gerarchia
dei poteri dello Stato, dal primo posto che gli compete nelle costituzioni
moderne. Un cortocircuito,
soprattutto, che dovrebbe sollevare il primus, l'Eletto, oltre l'ordinamento
giuridico normale,
garantendogli un'esenzione speciale dalla Legge; non importa se con norma
ordinaria o
costituzionale, se agendo sulla durata dei processi o sulla prescrizione:
l'importante è che il cittadino
Berlusconi, l'imprenditore privato di enorme successo e di immensa ricchezza,
non venga toccato da
processi.
Insomma, il potere del popolo – terribile e irresistibile
fondamento di ogni legittimità politica – si
condensa in un'unica epifania, in una manifestazione gloriosa strettamente
individuale; il potere
costituente, che rade al suolo gli ordinamenti costituiti e ne crea di nuovi,
deve incaricarsi di
ridisegnare l'equilibrio dei poteri dello Stato per il vantaggio di una sola
persona; il caso d'eccezione
deve diventare permanente, quotidiano e al contempo perenne, e garantire lo
sfondamento
dell'ordinamento a beneficio di uno solo. C'è, evidentemente, una sproporzione
grottesca tra la
causa e l'effetto, fra i principi e la realtà. Da una parte si evocano le
categorie più forti della filosofia
politica e della scienza giuridico-costituzionale moderna – appunto, la
sovranità popolare, il potere
costituente, il caso d'eccezione; chissà, la stessa rivoluzione – ; dall'altra
l'obiettivo è tutto sommato
modesto: una vicenda personale che il rilassarsi della democrazia e lo
spregiudicato populismo di
Berlusconi stanno trasformando in una tragedia repubblicana.
È questo squilibrio a mostrare, da solo, l'inconsistenza delle tesi che
intendono nobilitare con
motivazioni storico-politiche i frenetici tentativi di parte della maggioranza
di salvare Berlusconi
dai suoi processi (che non sono più di cento, ma meno di venti) che da anni
subisce come
imprenditore e che da anni contrasta con innumerevoli leggi a proprio vantaggio
(come questo
giornale ha documentato inoppugnabilmente). Tutti i superamenti dell'ordinamento
formale e del
potere liberale di cui si parla, tutte le potenze concrete, i momenti materiali
della politica, hanno
senso se hanno a che fare con obiettivi pubblici, universali: se anche la destra
vuole diventare
rousseauiana e mostrare un improvviso amore – forse sospetto e certamente
pericoloso – per la
sovranità popolare nella sua forma assoluta, non sarebbe male si ricordasse che
la Volontà generale
è tale perché vuole solo ciò che è generale, non perché vuole gli interessi
particolari; che il caso
d'eccezione è una violazione della Legge per un Valore pubblico supremo (la
salvezza dello Stato, la
salus populi, o qualche altra motivazione d'emergenza di carattere
generale) e non per una vicenda
di corruzione in atti giudiziari; che le rivoluzioni sono l'evento più pubblico
e politico che ci sia, e
che non si fanno per vicende personali.
E infatti nessuno ha inteso rivoluzionare alcunché col votare
Berlusconi, ma soltanto eleggere un
deputato che in seguito è stato incaricato dal Capo dello Stato di formare un
governo, che ha avuto
bisogno del voto di fiducia del Parlamento. Si deve contrastare la pretesa
che l'on. Berlusconi sia
stato eletto dal popolo capo del governo, e che goda perciò di uno status
privilegiato: ciò non è vero.
La mitizzazione dei momenti forti in cui si fondano gli ordinamenti è
un'evocazione equivoca e
fuori posto: la sovranità popolare – valore supremo della democrazia, che
nessuno intende discutere
– non è a favore di un singolo ma di tutti i cittadini in regime di uguaglianza;
non è una coperta da
tirare da una parte, ma il presidio della libertà di tutti; non è un fantasma da
evocare a piacimento
ma un bene da difendere e da garantire attraverso le libere istituzioni della
democrazia
repubblicana. E la salvezza dello Stato e del popolo non sta nell'infrangere le
norme, e nell'inventare
modi per sottrarsi ai processi, ma, al contrario, nella determinazione costante
di restituire il Paese
all'ordine della legalità, che coincide, anziché esservi contrapposto, con
l'ordine della legittimità, e
di ritornare alla sana distinzione fra privato e pubblico, fra diritto penale e
diritto costituzionale, che
distingue uno Stato libero da uno Stato patrimoniale, e una nazione di cittadini
da una di sudditi.
Carlo Galli la Repubblica 24 novembre 2009