LA LAICITÀ MESSA IN CROCE

Le sentenze, che per la nostra Costituzione sono pronunciate "in nome del popolo italiano", devono essere, almeno nelle linee essenziali della loro motivazione comprensibili dal popolo e non in contrasto col comune buon senso. E la sentenza del Consiglio di Stato che ha sancito la legittimità della esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche, se è da tutti comprensibile e forse anche da molti condivisibile nel suo dispositivo, cioè nelle conclusioni cui perviene, appare astrusa, artificiosa e non in linea col "comune sentire" nella e-sposizione delle ragioni che dovrebbero sorreggere il verdetto. Il Consiglio di Stato ha giustificato la decisione affermando che l'esposizione del crocifisso, quando è fatta in una sede non religiosa come la scuola, diviene un simbolo idoneo a "rappresentare e richiamare […] valori civilmente rilevanti e segnatamente quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile". Il crocifisso a scuola cesserebbe quindi di essere un simbolo religioso per trasformarsi in una espressione della laicità e dei valori costituzionali dello Stato italiano. Una tesi questa quanto meno sorprendente. Ma si è chiesto il massimo organo di giustizia amministrativa se vi è una sola persona, giovane o meno giovane e di qualsiasi cultura o fede, che guardando un crocifisso esposto in una scuola o in un qualunque altro luogo o edificio pubblico, coglie in esso un richiamo ai "valori civilmente rilevanti" che sono alla base del nostro ordinamento costituzionale? E si è domandato tale organo se vi è un solo cittadino che riesce a non vedere nelle effigie del Cristo in croce un segno religioso?
La sentenza dice poi che il crocifisso è "un simbolo che può assumere diversi significati e servire per intenti diversi; innanzitutto per il luogo ove è posto". Ed aggiunge che in un luogo di culto esso è propriamente ed esclusivamente un simbolo religioso mentre in una sede non religiosa è atto ad esprimere per tutti i presenti valori che "connotano la civiltà italiana" ed emergono dai "principi fondamentali" e dalla prima parte della nostra Costituzione. Il crocifisso sarebbe quindi un simbolo con significati mutevoli a seconda del luogo della sua esposizione. Simbolo esclusivamente religioso in Chiesa e di valori costituzionali a scuola dove – riconosce con qualche fatica e con molta confusione il Consiglio di Stato – conserverebbe per i credenti il suo significato religioso ovviamente in aggiunta a quello civile. Al riguardo non tiene invero presente la sentenza che una cosa è la funzione propria del simbolo, in quanto tale non mutevole, mentre altra cosa è la funzione del luogo in cui viene esposto. Non è allora il luogo che fa mutare il valore rappresentativo del simbolo (o la sua fattura preziosa o artistica o le modalità della sua esibizione), mentre il vero problema che può venire in rilievo è quello se sia appropriata o meno (nel caso in esame sotto il profilo giuridico ed in ipotesi sotto profili diversi) l'esposizione del crocifisso in un determinato luogo. Sicché tale esposizione può essere, in rapporto alla diversità dei luoghi prescelti, appropriata, non appropriata ed in taluni casi assolutamente inopportuna.
Ma c'è di più e cioè che nella sentenza si afferma, come punto nodale della decisione, che "il crocifisso è atto ad esprimere […] l'origine religiosa dei valori che connotano la civiltà italiana" una origine che costituirebbe "l'elevato fondamento" di tali valori i quali delineerebbero "la laicità del-l'attuale ordinamento dello Stato". In sostanza la sentenza dice quindi che il fondamento dei valori costituzionali che connotano la civiltà italiana è esclusivamente di origine religiosa. Il pronunciamento del Consiglio di Stato prescinde così, senza alcuna argomentazione a riguardo, dal fatto incontestabile che la Costituzione italiana è stata il risultato del fecondo incontro di culture diverse e quindi anche di culture non certo religiosamente ispirate, né di derivazione religiosa.
Ai rilievi in ordine alla logicità e coerenza della motivazione della sentenza del Consiglio di Stato vanno infine aggiunti quelli che si possono muovere da parte dei credenti sul versante della sensibilità religiosa. La sentenza, per giustificare la legittimità della esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, finisce per svalutarne il valore simbolico fino ad imprigionarlo nella "civiltà italiana" ed a farne espressione, per noi italiani, dell'ordinamento costituzionale dello Stato. Sono limiti e confini che il crocifisso non può sopportare per ciò che esso rappresenta nella coscienza dei credenti quando questa coscienza è matura e viene illuminata dal Magistero del Concilio Vaticano II. Il crocifisso è invero il simbolo dell'amore universale che non può essere trasformato nella espressione dei valori, peraltro mutevoli, di una civiltà o di un ordinamento costituzionale né può essere il distintivo di una cultura e neppure l'emblema dell'i-dentità di una nazione. Operazioni queste tutte oggettivamente rivolte a servirsi del crocifisso-immagine per deformare la crocifissione-evento, un evento salvifico offerto a tutti gli uomini di tutti i tempi, di tutti i continenti e di tutte le culture. Il crocifisso non pretende certo di affermarsi con gli strumenti del potere ma si propone ai poveri e agli oppressi come speranza di liberazione e di riscatto ed a tutti come promessa di resurrezione. Non ambisce certo di essere esibito per simboleggiare identità nazionali o culturali e neppure valori ma attende di essere invocato ed accolto nei cuori e nelle case degli ultimi, degli umiliati ed offesi e di quanti anche inconsapevolmente lo cercano per trovare "la via, la verità e la vita".




Michele Di Schiena,  presidente onorario aggiunto Corte di Cassazione    Adista Notizie n.19  2006