Meno bugie più
Vangelo
La Corte Europea dei diritti dell'uomo ha detto «no» al crocifisso in classe,
pronunciandosi sul
ricorso di una cittadina italiana. Si è subito scatenato il putiferio. In
Italia la laicità è un obiettivo
ancora lontano. Questo non deve indurre allo scoraggiamento. Deve anzi suscitare
una spinta a
lavorare con più lena perché la cultura della laicità divenga sentire comune.
Finché la religione
cattolica era l'unica religione dello stato si poteva ancora sostenere che
l'esibizione pubblica del
crocifisso corrispondesse all'interesse pubblico.
Ma oggi, dopo gli Accordi del 1984, la religione cattolica non è più la sola
religione dello stato.
Quindi i simboli religiosi, tutti i simboli religiosi, anche quelli della
spiritualità o della fede laica,
hanno uguale dignità. Le leggi e chi le interpreta devono adeguarsi di
diritto e di fatto.
Ma è proprio vero che il crocifisso ha un valore universale e
che è la bandiera dell'identità italiana?
Che tutti i cittadini, di qualsiasi religione o credo, possono e devono
accettare? Ma allora com'è che
Costantino ha messo la croce sui suoi labari e in quel segno ha ucciso e in quel
segno ha vinto?
Com'è che da quel momento la croce è trionfo e vittoria? E' vero che poi
Costantino in omaggio alla
croce ha abolito la crocifissione. Non però la sostanza del supplizio. Ha
continuato a sacrificare
innocenti con altri strumenti avvalendosi della protezione della croce. Si
potrebbe continuare sul
filo della storia, dalla croce indossata dai crociati alla croce brandita dai
conquistatori, usata per
accendere i roghi di eretici e streghe, fino alla croce sui simboli di partito e
alla croce che s'insinua
negli attuali arsenali militari.
Lo so bene che la croce ha alimentato anche la speranza del riscatto storico
degli oppressi, la loro
lotta e le loro rivoluzioni. Ma per lo più ciò è stato considerato una
eresia. In realtà ogni volta che il
cristianesimo si è aperto e legato ai movimenti storici che puntavano al
riscatto dei poveri e degli
oppressi, qui in terra e non solo in cielo, ha subito feroci repressioni. Contro
quel cristianesimo
ribelle puntualmente si sono accesi i roghi fisici o morali. Fino all'attuale
allontanamento di don
Alessandro Santoro dalla Comunità delle Piagge di Firenze. Non risulta per
niente vero che è
consentito vedere nella croce il simbolo della prevalenza dell'amore sul potere,
come sostiene un
teologo alla moda come Vito Mancuso (la Repubblica di ieri 4 novembre).
Tutti i movimenti
popolari rivoluzionari animati dal Vangelo che hanno visto nella croce il segno
della liberazione
storica e non solo della redenzione sacrificale trascendente sono stati repressi
spesso nel sangue.
Quante croci della teologia della liberazione sono state
abbattute e calpestate dai crociati della croce
esibita come trionfo! La croce si può anzi si deve esporre solo in quanto
è segno del potere.
Non per nulla «meno croce e più Vangelo» valeva anche nella scuola di Barbiana
da dove don
Milani aveva tolto il crocifisso. Meno croce e più Vangelo valeva per un
cattolico come Mario
Gozzini, il senatore della legge sulla carcerazione, il quale nel 1988 scrisse
sull'Unità due forti
articoli di critica verso i difensori dell'ostensione pubblica della croce. E
vale oggi per tante
esperienze di fede cristiana aperte al globalismo dei diritti e alla pace, vale
per le comunità di base,
vale per tante oscure parrocchie e associazioni, vale per i valdesi. Il
problema è che il sistema dei
media non ne dà notizia. Le suggestioni di Gozzini sarebbero da
rileggere oggi, tanto sono attuali.
Egli da fine politico e da buon legislatore fa la proposta di «uno strumento che
impegnasse il
presidente del Consiglio a studiare e compiere i passi opportuni per ottenere,
dalla Conferenza
episcopale, l'assenso a togliere di mezzo un segno diventato, quantomeno,
equivoco. Ci vorrà tempo
e pazienza ma ho speranza che alla fine la ragione e l'autentica coscienza
cristiana (quella che bada
a Cristo più che ai patrimoni storici) avranno la meglio». La speranza di
Gozzini è sempre più la
nostra speranza.
don Enzo Mazzi il manifesto 6 novembre 2009