Volontà di potenza


Il nuovo discorso bulgaro di Berlusconi è solo apparentemente più conciliante del diktat che sette anni fa attuò una prima pulizia etnica del video. Anzi, contiene elementi per certi versi ancora più inquietanti.
Si ammette, certo, la facoltà della stampa, e dei media in generale, di criticare il potere politico; ma questo è immediatamente personalizzato nella figura del premier, e nella sua asserita volontà d´amore e di giustizia, una volontà talmente universalistica da consentirgli di accettare (viene da dire ‘tollerare´) anche le critiche, purché, naturalmente, restino "nei confini della moderazione"; in questo caso possono essere "usate per colmare le mancanze" dell´azione di governo. Se vanno oltre, però, se cioè non sono "moderate" – se non condividono le cose che il governo fa, anziché limitarsi a criticare il modo in cui le fa – allora diventano calunnie, che "non fanno piacere a chi è calunniato"; e che per di più si ritorcono provvidenzialmente contro il calunniatore, data l´istintiva simpatia che un popolo di grande intelligenza e saggezza come l´italiano prova per i perseguitati. La critica o è ‘costruttiva´, e accetta il terreno concettuale e valoriale del potere, o è una cattiveria, e lede il vincolo sentimentale che unisce la società, e che trova espressione nell´amore (ricambiato) del leader per la "gente".
A fronte di ciò, nel discorso bulgaro si parla di «preoccupazione per l´opposizione che ci ritroviamo in Italia», motivo non ultimo, insieme alla condivisione di valori e programmi, perché l´alleanza di governo sia salda. Il nemico è alle porte, insomma, e anzi sta per entrare: da qui l´esigenza di una compatta unità delle forze nostre. Improvvisamente l´immagine della società amorevole è sostituita da accenni di guerra e di oscuri fantasmi. Il che significa, anche se a Sofia non è stato detto esplicitamente, che le riforme – della giustizia, e forse della Costituzione – si hanno da fare da soli, e non dialogando con l´opposizione, tranne che questa non accetti obiettivi e metodi del governo, limitandosi a proporre qualche variante in uno schema già definito (da altri).

Da una parte, insomma, Berlusconi propone l´immagine di una società omogenea, coesa, sostanzialmente pacificata, perché condivide – grazie a un rapporto affettivo col capo – valori e stili di pensiero, senza voci dissonanti e fuori dal coro. Una società in cui il conflitto non esiste, né quello di classe né quello ideale, né quello – aperto e proclamato – degli interessi; una società in cui le voci della critica, dei media e delle altre istanze che costituiscono la pubblica opinione, non portano altro contributo che qualche variazione su un unico tema. Una società che si compiace delle stesse evidenze, che si turba per le stesse inquietudini; una sfera pubblico-sociale anestetizzata, e certamente assai diversa da quelle che storicamente sono state le società liberali e democratiche, caratterizzate da intensa e vivacissima dialettica di posizioni, dalla violenza della polemica nella stampa, nelle accademie, nelle case editrici, nei salotti intellettuali. Una società omogenea, insomma, e una stampa allineata o molto prudente.
A ciò si contrappone una visione della politica come combattimento contro estranei o nemici, come una lotta tanto aspra che non trova moderazione e neutralizzazione neppure nelle istituzioni, nei poteri dello Stato. Queste, anziché essere interpretate come sistemi di regole intrinsecamente neutrali, la cui finalità è di lasciare sussistere il conflitto fra le parti senza essere esse stesse ‘parte´ – tranne il caso del potere esecutivo, che può essere ‘parte´, ma soltanto secondo precisi limiti –, paiono a Berlusconi sempre attraversate dall´energia della polemica, dalla partigianeria. Una sorta di iper-politicismo per cui la politica esce dalle istituzioni, le eccede continuamente, le travolge come la piena inarrestabile di un fiume, gonfio di polemicità. Tutte le magistrature sono necessariamente parziali e mai neutrali, la politica è sempre faziosità, la dismisura non può non travalicare la misura.
Sembra a volte di avere a che fare con un´applicazione domestica e in tono minore del celebre ‘politico´ di Carl Schmitt, il teorico secondo il quale la politica consiste essenzialmente nel rapporto amico-nemico. Oppure possono venire alla mente interpretazioni della politica come volontà di potenza, come grandioso e tragico destino di conflitto; una visione terribile, certo, ma anche nobile, che sta fra Nietzsche e Lenin. Ma lo sembra soltanto. Infatti, queste concezioni della politica la vedono come un´energia pubblica, che emana da un popolo, come una forza collettiva rivoluzionaria che mobilita ogni ordine giuridico-istituzionale. Berlusconi, invece, pensa alla politica come alla sua personale volontà di potenza, come a un eccesso privato che dilaga nel pubblico. In mano a lui, insomma, quello che in altri contesti è la rivoluzione che travolge le istituzioni, diventa più banalmente tentativo di prevaricazione, unito a un continuo sospetto della prevaricazione altrui.
Tutto ciò non è né rassicurante né innocuo, soprattutto se è diventata la nuova costituzione materiale del nostro Paese, e se diventerà – come sostengono e auspicano esponenti della maggioranza – la nuova costituzione formale. Infatti, lo scenario che prevede istituzioni politiche ‘calde´ percorse da spasimi di polemicità, e la società civile ‘fredda´, libera da conflitti e unificata semmai nel tepore pacificante dell´amore, è un´inversione quasi perfetta dell´Abc della moderna democrazia: è l´immagine, non rassicurante ma inquietante, di una democrazia autoritaria.

Carlo Galli    Repubblica 17.10.09