Cercasi profeti
Non è certamente un caso che, nelle recenti discussioni sulla testimonianza
ecclesiale nella nostra Italia (e non solo), ci siano spesso riferimenti al tema
della
profezia. L’atteggiamento profetico viene spesso introdotto come punto di
riferimento
fondativo della nostra fede cristiana e, al tempo stesso, ne viene messa in
evidenza
la sua scarsa presenza nei contesti ecclesiali. Si direbbe cercasi
profezia e, al tempo
stesso, cercasi profeti. Se, allora, abbiamo tanto bisogno di profezia e
profeti: dove
cercarli? Come formarli? Come accoglierli? Come impostare uno stile personale e
comunitario autenticamente profetico?
Non ci sono dubbi sul fatto che la nostra fede cristiana, a
partire dalla sua radice
giudaica, sia sostanzialmente profetica. La profezia è modo con
cui il buon Dio rivela
il Suo volere. E’ rivelazione del piano di Dio nella storia e, al tempo stesso,
è giudizio
sulla comunità dei credenti e sul mondo perché questi ritornino a Lui con tutto
il cuore
(cfr. Gl 2). E’ continua presenza di Dio in mezzo al suo popolo: Dio parla molte
volte e
in diversi modi per mezzo dei profeti, e sommamente parla per mezzo del Figlio,
che
ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il
mondo (cfr.
Eb 1). La profezia è impegno affidato ai discepoli dal Cristo perché siano suo
segno
nel mondo predicando il Vangelo e compiendo prodigi (cfr. Mc 16).
La Scrittura contiene anche riferimenti precisi sul fatto che Dio non farà mai
mancare
i suoi profeti (cfr. Gl 3, Am 2). Eppure oggi ne lamentiamo la scarsezza. Se Dio
non
viene mai meno alle sua promesse, come crediamo, ad essere onesti, allora,
dovremmo piuttosto dire che non mancano i profeti, manca, invece, l’attenzione e
l’accoglienza di essi. Spesso di profeti ce ne sono diversi: ma chi li ascolta?
Oppure,
ancor peggio, perché spesso sono condannati e uccisi? «Guai a voi – dice Gesù -
perché costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li uccisero. Voi
dunque
testimoniate delle opere dei vostri padri e le approvate; perché essi li
uccisero e voi
costruite loro dei sepolcri. Per questo la sapienza di Dio ha detto: "Io manderò
loro
dei profeti e degli apostoli; ne uccideranno alcuni e ne perseguiteranno altri",
affinché
del sangue di tutti i profeti sparso fin dall'inizio del mondo sia chiesto conto
a questa
generazione; dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria che fu ucciso tra
l'altare
e il tempio; sì, vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. Guai a
voi, dottori
della legge, perché avete portato via la chiave della scienza! Voi non siete
entrati, e a
quelli che volevano entrare l'avete impedito» (Lc 11, 47-52).
I profeti ci sono: non sono mai mancati, da Abele ai nostri
giorni, e non mancheranno
mai, fino al ritorno di Nostro Signore. C’è solo poco accoglienza e,
spesso, ostilità e
rifiuto nei loro confronti. Così stando le cose, l’attenzione va rivolta più
alla prassi
ecclesiale e dei singoli credenti: dove nasce il rifiuto della profezia?
Esse, a mio
modesto avviso, si annida in alcuni aspetti della prassi cattolica, che sono
diventati
terribilmente impermeabili, refrattari alla profezia. Mi riferisco a:
1. l’ambito del potere
e 2. quello del denaro.
1. Non ci sono dubbi sul fatto che la Chiesa cattolica, ove rappresenta
la
maggioranza o un rilevante parte della popolazione, costituisca un vero e
proprio
potere, che si manifesta soprattutto nell’ambito culturale, economico
(di cui di
seguito), politico e sociale. Senza poi trascurare tutto il potere presente
all’interno
di essa: ministeri, ruoli e responsabilità. In sé e per sé il potere non è
affatto
motivo di scandalo: il potere è un modo personale di essere con gli altri e per
gli
altri, è, in sintesi, uno strumento. Il problema è come lo si usa e in vista di
quale
finalità. La refrattarietà alla profezia nasce quando si perseguono,
tollerano o
favoriscono, all’interno della Chiesa e nel mondo, forme di potere immaturo,
incompetente, dispotico, ipocrita, altezzoso, corrotto, perverso, avido di
denaro,
basto su privilegi economici e non, frutto di un sistema di raccomandazioni e
favori, illegale, poco rispettoso della laicità dello Stato e così via.
La rivelazione
giudaico-cristiana insegna che il profeta è sempre ben altro rispetto a tale
detentore di potere. E la profezia si esercita nello smascherare queste
forme, ad
intra come ad extra, e nel ricondurre le persone a Dio. Invece, spesso,
ci
ritroviamo ad avere pastori che sono solo capaci di offrire assordanti silenzi o
forme di complicità con tutti quei poteri, religiosi e laici, corrotti,
depravati e
devastatori.
2. La Chiesa italiana, nel suo complesso come nelle sue locali
articolazione (diocesi,
parrocchie, ordini religiosi), è sostanzialmente troppo ricca per interrogarsi
sul
tema della profezia. Alcune storture del sistema economico, evidenziate
dall’ultima enciclica, molte volte riguardano anche il mondo cattolico, specie
quello degli affari e quello dei servizi. Infatti crescono preoccupazioni e
dubbi su
strutture cattoliche che non sempre sono ispiriate dai criteri evangelici di
bene
comune, giustizia, pace e tutela degli ultimi; sui relativi rapporti con il
potere
politico poco profetici, forse perché attenti ad accordi preferenziali e a
trattamenti
di favore e privilegi economici. Riguardo al denaro (risorse interne,
finanziamenti
pubblici, sponsor per feste patronali, congressi e quant’altro, gestione dei
beni
ecclesiastici) si ha alcune volte l’impressione che la logica
capitalistica del profitto
ad ogni costo si sia radicata anche in alcuni settori ecclesiali. Anche qui la
profezia soffre violenza (Mt 11).
I contesti in cui potere e gestione economica sono ammalati gravemente sono i
luoghi che uccidono molto facilmente profezia e profeti. Le logiche per compiere
questo oscuramento o annientamento dei profeti sono quelle tipiche di tutte le
istituzioni malate che detengono potere sulle risorse, facoltà di scelta e di
nomine dei
responsabili e sono poco inclini a mettersi in crisi e a rinnovarsi. Chi
non condivide
queste prassi e testimonia, con la sua vita prima di tutto, e poi con le sue
analisi e
proposte un rinnovamento dell’istituzione in cui opera – lo si chiami profeta o
in altro
modo – si ritroverà ad affrontare o, in alcuni casi, la violenza fisica oppure,
molto
spesso, una serie di calunnie, diffamazioni, sospetti, insinuazioni, oppressione
psicologica, mobbing, menzogne, ricatti. Certo costruiranno anche per
lui, post
mortem, un sepolcro, con annessi farisaici elogi, ma ciò cambierà poco il
contesto da
cui proveniva. Scriveva Lorenzo Milani del prete perseguitato per il suo
operare
profetico: «Vorrebbero ridurti a funzionario. Non sopportano che tu sia uomo,
non
sopportano che tu voglia intervenire nel tran tran della vita, che tu voglia
smuovere le
cose ferme, sovvertire, un ordine che si sono dati e che di cristiano non ha più
nulla.
Si, insisto. Nulla. Perché cosa ci può essere di cristiano là dove si rifiuta al
prete
questo diritto di avvertire, di parlare, di scuotere? Ma che dico al prete. Là
dove si
rifiuta alla Parola di penetrare. E al pensiero, alla ragione. Dove si rifiuta
alla
Religione stessa d’entrare nei fatti della vita» (1). Insieme a lui, penso a
Dietrich
Bonhoeffer, Edith Stein, Tonino Bello, Madalein Delbrel, Oscar Romero, Helder
Camara e tanti altri.
E la voglia di profezia cresce. O meglio: la voglia di accoglierli,
ascoltarli e imitarli … i
profeti.
Rocco D’Ambrosio, docente di Filosofia Politica
in Evangelizzare, 2009, n. 2 - ottobre
(1) L. MILANI, Esperienze pastorali, LEF, Firenze 1957, p. 198.