Cosa vuol dire libertà di stampa
Molti si chiederanno come sia possibile che in Italia si manifesti per la
libertà di stampa. Da noi non è compromessa come in Cina, a Cuba, in
Birmania o in Iran. Ma oggi manifestare o alzare la propria voce in nome della
libertà di stampa, vuol dire altro. Libertà di poter fare il proprio lavoro
senza essere attaccati sul piano personale, senza un clima di minaccia. E
persino senza che ogni opinione venga ridotta a semplice presa di parte, come
fossimo in una guerra dove è impossibile ragionare oltre una logica di
schieramento.
Oggi, chiunque decida di prendere una posizione sa che potrà avere contro non
un´opinione opposta, ma una campagna che mira al discredito totale di chi
la esprime. E persino coloro che hanno firmato un appello per la libertà
di informazione devono mettere in conto che già soltanto questo gesto potrebbe
avere ripercussioni. Qualsiasi voce critica sa di potersi aspettare ritorsioni.
Libertà di stampa significa libertà di non avere la vita distrutta, di non dover
dare le dimissioni, di non veder da un giorno all´altro troncato un percorso
professionale per un atto di parola, come è accaduto a Dino Boffo.
Vorrei parlare apertamente con chi, riconoscendosi nel centrodestra, dirà: «Ma
che volete? Che cosa vi mettete a sbraitare adesso, quando siete stati voi per
primi ad aver trascinato lo scontro politico sul terreno delle faccende private
erigendovi a giudici morali? Di cosa vi lamentate se ora vi trovate ripagati con
la stessa moneta?».
Infatti la questione non è morale. La responsabilità chiesta alle istituzioni
non è la stessa che deve avere chi scrive, pone domande, fa il suo mestiere. Non
si fanno domande in nome della propria superiorità morale. Si fanno domande in
nome del proprio lavoro e della possibilità di interrogare la democrazia.
Un giornalista rappresenta se stesso, un ministro rappresenta la Repubblica. La
democrazia funziona nel momento in cui i ruoli di entrambi sono rispettati. Per
un giornalista, fare delle domande o formulare delle opinioni non è altro che la
sua funzione e il suo diritto. Ma un cittadino che svolge il suo lavoro non può
essere esposto al ricatto di vedere trascinata nel fango la propria vita
privata. E una persona che pone delle domande, non può essere tacitata e
denunciata per averle poste. Non è sulla scelta di come vive che un
politico deve rispondere al proprio paese. Però quando si hanno dei ruoli
istituzionali, si diventa ricattabili, ed è su questo piano, sul piano delle
garanzie per le azioni da compiere nel solo interesse dello Stato, che chi
riveste una carica pubblica è chiamato a rendere conto della propria vita.
In questi anni ho avuto molta solidarietà da persone di centrodestra. Oggi mi
chiedo: ma davvero gli elettori di centrodestra possono volere tutto questo?
Possono ritenere giusto non solo il rifiuto di rispondere a delle domande, ma
l´incriminazione delle domande stesse? Possono sentirsi a proprio agio quando
gli attacchi contro i loro avversari prendono le mosse da chi viene mandato a
rovistare nella loro sfera privata? Possono non vedere come la lotta fra
l´informazione e chi cerca di imbavagliarla, sia impari e scorretta anche sul
piano dei rapporti di potere formale?
Chi ha votato per l´attuale schieramento di governo considerandolo più vicino ai
propri interessi o alle proprie convinzioni, può guardare con indifferenza o
approvazione questa valanga che si abbatte sugli stessi meccanismi che rendono
una democrazia funzionante? Non sente che si sta perdendo qualcosa?
Il paese sta diventando cattivo. Il nemico è chi ti è a fianco, chi
riesce a realizzarsi: qualunque forma di piccola carriera, minimo successo,
persino un lavoro stabile, crea invidia. E questo perché quelli che erano
diritti sono stati ridotti quasi sempre a privilegi. È di questo,
di una realtà così priva di prospettive da generare un clima incarognito
di conflittualità che dovremmo chiedere conto: non solo a chi governa ma a tutta
la nostra classe politica. Però se qualsiasi voce che disturba la
versione ufficiale per cui va tutto bene, non può alzarsi che a proprio rischio
e pericolo, che garanzie abbiamo di poter mai affrontare i problemi veri
dell´Italia?
Il ricatto
cui è sottoposto un politico è sempre pericoloso perché il paese avrebbe bisogno
di altro, di attenzione su altre questioni urgenti, di altri interventi. Il
peggio della crisi per quel che riguarda i posti di lavoro deve ancora arrivare.
In più ci sono aspetti che rendono l´Italia da tempo anomala e più fragile di
altre nazioni occidentali democratiche, aspetti che con un simile aumento della
povertà e della disoccupazione divengono ancora più rischiosi. Nel 2003 John
Kerry, allora candidato alla Casa Bianca, presentò al Congresso americano un
documento dal titolo The New War, dove indicava le tre mafie
italiane come tre dei cinque elementi che condizionano il libero mercato
quantificando in 110 miliardi di dollari all´anno la montagna di danaro che le
mafie riciclano in Europa. L´Italia è il secondo paese al mondo per uomini sotto
protezione dopo la Colombia. È il paese europeo che nei soli ultimi tre
anni ha avuto circa duecento giornalisti intimiditi e minacciati per i loro
articoli. Molti di loro sono finiti sotto scorta. Ed è proprio in nome della
libertà di informazione che il nostro Stato li protegge. Condivido il destino di
queste persone in gran parte ignote o ignorate dall´opinione pubblica, vivendo
la condizione di chi si trova fisicamente minacciato per ciò che ha scritto. E
condivido con loro l´esperienza di chi sa quanto siano pericolosi i meccanismi
della diffamazione e del ricatto.
Il capo del cartello di Calì, il narcos Rodriguez Orejuela, diceva «sei
alleato di una persona solo quando la ricatti». Un potere ricattabile e
ricattatore, un potere che si serve dell´intimidazione, non può rappresentare
una democrazia fondata sullo stato di diritto.
Conosco una tradizione di conservatori che non avrebbero mai accettato una
simile deriva dalle regole. In questi anni per me difficili molti elettori di
centrodestra, molti elettori conservatori, mi hanno scritto e dato solidarietà.
Ho visto nella mia terra l´alleanza di militanti di destra e di sinistra, uniti
dal coraggio di voler combattere a viso aperto il potere dei clan. Sotto
la bandiera della legalità e del diritto sentita profondamente come un valore
condiviso e inalienabile. È con in mente i volti di queste persone e di
tante altre che mi hanno testimoniato di riconoscersi in uno Stato fondato su
alcuni principi fondamentali, che vi chiedo di nuovo: davvero, voi elettori di
centrodestra, volete tutto questo?
Questa manifestazione non dovrebbe veramente avere colore politico, e anzi
invito ad aderirvi tutti i giornalisti che non si considerano di sinistra ma
credono che la libertà di stampa oggi significa sapersi tutelati dal rischio di
aggressione personale, condizione che dovrebbe essere garantita a tutti.
Vorrei che ricordassimo sino in fondo qual è il valore della libertà di stampa.
Vorrei che tutti coloro che scendono in piazza, lo facessero anche in nome di
chi in Italia e nel mondo ha pagato con la vita stessa per ogni cosa che ha
scritto e fatto a servizio di un´informazione libera. In nome di Christian
Poveda, ucciso di recente in El Salvador per aver diretto un reportage sulle
maras, le ferocissime gang centroamericane che fanno da cerniera del grande
narcotraffico fra il Sud e il Nord del continente. In nome di Anna Politkovskaja
e di Natalia Estemirova, ammazzate in Russia per le loro battaglie di verità
sulla Cecenia, e di tutti i giornalisti che rischiano la vita in mondi meno
liberi. Loro guardano alla libertà di stampa dell´Occidente come un faro, un
esempio, un sogno da conquistare. Facciamo in modo che in Italia quel
sogno non sia sporcato.
Roberto Saviano Repubblica 2.10.09
Questo articolo sarà pubblicato anche da El Paìs, The Times, Le Figaro, Die Zeit, dallo svedese Expressen e dal portoghese Espresso.