Nulla sarà più come prima

Nulla sarà più come prima nel rapporto tra la chiesa e la politica italiana. Lo dicono diversi osservatori ed è probabile che abbiano ragione. È entrata in crisi l’alleanza tra la destra politica e alcuni movimenti integralisti e istituzioni del cattolicesimo borghese e conservatore sotto la regia della corrente da vent’anni prevalente nell’episcopato.

L’occasione della crisi è fin paradossale; e lascia intravvedere molte reticenze. Tuttavia lo scontro, o almeno la scollatura, è nei fatti perché dall’una e dall’altra parte pare essersi rotto lo strano patto di fiducia reciproca. Sono venute alla luce le reciproche, profonde insincerità e menzogne. Quella che si diceva, e forse voleva essere, un’alleanza per la fede, la moralità, il buoncostume, l’ordine naturale era invece fondata su un equivoco, molte bugie e una immensa distanza tra le parole e i fatti.

La verità è che  era un’alleanza soltanto di convenienza, e ciascuno degli interlocutori ha scoperto che la convenienza era un’illusione, un inganno.

Direi di più: la vera ragione dell’alleanza non era, non è mai stata, la forza di ciascuno dei contraenti, ma la sua debolezza. Non esisteva, non poteva esistere, un progetto comune per offrire una prospettiva positiva al paese e alla chiesa; esisteva una necessità di sopravvivenza, di conservazione cui le due parti erano interessate e per la quale avevano stretto una sorta di patto.

La chiesa (o piuttosto la parte che ha più voce e potere)  si sente debole e perciò alza la voce e cerca alleanza nei poteri civili, nelle leggi e nei finanziamenti, nelle pubbliche cerimonie. Cerca di conservare le vestigia dell’antica cristianità costituita, sostenuta dalle strutture e dalle abitudini. Sente che molti la abbandonano, o comunque si sentono liberi dai suoi precetti. Alcuni la distinguono ed anzi contrappongono al Vangelo. Anziché sforzarsi di proporre una testimonianza credibile (e faticosa), anziché impegnarsi nella formazione di libere coscienze, anziché credere nei mezzi spirituali (il Vangelo, la comunione ecclesiale, la carità) – come pur si era incominciato a fare soprattutto dal Concilio in poi da più di vent’anni la chiesa italiana sceglie la strada dei mezzi umani, l’immagine, il prestigio… Cerca le truppe d’assalto o le compagnie di ventura. Soprattutto cerca un suo ruolo nella società attraverso l’alleanza col potere, il danaro, la cultura dominante.

Quando poi si accorge che la cultura politica dominante, conservatrice, è quella che ha svuotato i contenuti etici personali e collettivi (dei quali parla ma che certo non osserva) la chiesa capisce che così non guadagna forza, ma perde quella residua. E deve reagire.

Dall’altra parte, quella politica, più che un patto, si voleva un sostegno incondizionato. Una politica che per sopravvivere ha bisogno di imporre una immagine falsata della realtà sperava in un esercito di propagandisti efficaci e motivati, a buon mercato. Una benedizione, un’unzione solenne, qualche frase retorica sulle radici cristiane sono un ottimo sostegno propagandistico anche per quelli che non credono a nulla.  Avendo una visione assolutamente secolarizzata neppure sospettano che nella chiesa una qualche resistenza pure c’è; un senso critico che trae ispirazione da principi “indisponibili”. E allora vien meno la materia del contratto, dello scambio. Scoprono che l’interlocutore non è affidabile per i propri scopi; e che la somma di due debolezze non rafforza nessuno. Ecco perché la crisi di questa non-santa alleanza è vera e profonda. E tuttavia è anche pericolosa. Bisogna immaginare quali trucchi e falsità ulteriori potranno essere inventate per superare la crisi dell’alleanza. La necessità s’impone. Certo la demonizzazione dell’avversario, certo la preclusione, legale o no, giusta o no, di ogni alternativa. Potrebbero affacciarsi giorni difficili…

Cresce dunque la responsabilità delle forze culturali e politiche democratiche affinché sappiano darsi un progetto possibile e chiaro, e lo sappiano spiegare al paese. È importante che esse riscoprano e pratichino con coerenza la loro differenza qualitativa (il che non significa un opposto estremismo) e non si mettano sullo stesso piano dei loro avversari.

Ma soprattutto noi osiamo sperare e pregare affinché la chiesa nel suo complesso riesca a fare esame di coscienza, a ritrovare la sua libertà la  passione per il Vangelo, la fiducia nel Signore e in tutti i suoi figli.  Lo farà, crediamo, se ci sarà il coraggio di uscire dal verticismo clericale che ora domina la scena. Una chiesa davvero di popolo (non di massa, ma del popolo di Dio) è una chiesa di comunione, dove ci si incontra, si prega e si discute insieme. Una chiesa non arroccata nei palazzi, nelle istituzioni, negli uffici, ma presente nella società, ovunque c’è pensiero e necessità, dolore e amore. Questa chiesa della testimonianza non avrebbe paura del futuro e non avrebbe bisogno di fare improprie alleanza col potere civile.

E questa chiesa in verità c’è già. Larga parte dei credenti la vivono ogni giorno nelle parrocchie e nei gruppi di base, nella caritas e nelle comunità religiose, nelle associazioni del laicato… Ma hanno poca voce, sempre meno. Persino i consigli pastorali sopravvivono a fatica e non decidono quasi nulla. La voce della chiesa sembra essere solo quella dei capi e dei loro portavoce, tutt’altro che infallibili. Ma nulla sarà più come prima… speriamo che a questa chiesa venga restituita voce e autorevolezza. Ha ragione Paola Gaiotti che ha evocato una grande convinzione di Dossetti: in Italia la renovatio ecclesiae è essenziale per la renovatio societatis.

La Scrittura ci narra che Iddio si servì di Ciro per liberare il suo popolo; e la tradizione cristiana ricorda le gesta Dei per Francos. Non è escluso che ci sia qualcosa di provvidenziale nelle (pur sgradevoli) rivelazioni e nelle polemiche di questa estate.

 

Angelo Bertani       Adista Segni nuovi n. 98    2009