La “cassa” del Papa fra mille misteri e scandali finanziari

Fuori dalla tempesta dei mercati e fuori anche dalle ultime incrostazioni di una storia, quella degli
ultimi decenni, ricca pure di aspetti tutt’altro che commendevoli. E’ la doppia missione, e non delle
più semplici, per il tenace banchiere piacentino con solidi agganci Oltretevere ma anche
oltrefrontiera che s’insedia adesso in quel torrione di Niccolò V che - potenza dei simboli
topografici - confina anche fisicamente con il Palazzo Apostolico.
La priorità, in tempi difficili per ogni banca, è ovviamente quella di far sì che IOPRVAVX - è questo
il codice che nel circuito interbancario identifica l’Istituto per le Opere di Religione - e i suoi 40
mila correntisti e passa fra cui tutti i dipendenti del Vaticano - possano dormire sonni tranquilli. Non
dovrà sforzarsi troppo Gotti Tedeschi, però, se come ha assicurato il presidente uscente Angelo
Caloia, gli investimenti sono improntati alla massima prudenza. «Noi non siamo una banca - ha
spiegato proprio un anno fa a Famiglia Cristiana -. Non abbiamo concesso né concediamo prestiti.
In tal modo, non ci sono da noi perdite inesigibili... Siamo sempre stati molto prudenti nel gestire le
nostre finanze, oserei dire conservatori».
Molto di più non è dato sapere visto che lo Ior non pubblica bilancio nè rende noti i suoi principali
dati finanziari.
Semplicemente, come da statuto vergato da Pio XII nel 1944 e poi rivisto da
Giovanni Paolo II nel 1990, quello che era nato nel 1887 su iniziativa di papa Leone XIII come
«Commissione ad pias causas» destinata a raccogliere e gestire l’Obolo di San Pietro, l’Istituto, ha
lo scopo «di provvedere alla custodia e all'amministrazione dei beni mobili ed immobili trasferiti od
affidati all'Istituto medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati ad opere di religione e di
carità».
Un mandato che già in precedenza, subito dopo la firma dei Patti Lateranensi e quando lo Ior era
ancora l’Amministrazione speciale per le Opere di Religione, Bernardino Nogara - proveniente da
una banca laica e milanese come la Comit - aveva interpretato in modo estensivo, ponendo come
condizioni per accettare il suo incarico, completa libertà d’azione.
Che nei decenni successivi al pur intraprendente Nogara nelle carte - e soprattutto nelle casse vaticane,
siano stati custoditi segreti inconfessabili, non solo italiani, è storia notissima. Scandalo
principe è ovviamente quello del Banco Ambrosiano. Qui l’arcivescovo lituano-americano Paul
Marcinkus - originario di Cicero, paese natale di Al Capone, è l’inevitabile chiosa che accompagna
le sue biografie - assurto alla presidenza dell’Istituto nel 1971, gestì un inarrestabile giro di denaro
di provenienza oscura drenato per circa 2 miliardi di dollari dalle casse dell’Ambrosiano,
controllato fin dal 1946 proprio dallo Ior, e contribuì così in modo sostanziale al crack dello stesso
Ambrosiano nel 1982.
Liquidazione del banco, sostanziale protezione di Marcinkus sotto lo scudo
dell’extraterritorialità,
ammissione non di colpa da parte dello Ior, ma certo di una responsabilità
oggettiva visto che due anni dopo l’istituto versava alle banche creditrici dell’Ambrosiano una
somma di poco superiore ai 400 milioni di dollari come «contributo volontario». Al risanamento
dell’Istituto, nel 1989, era stato intanto chiamato un altro banchiere milanese come Angelo Caloia.
Ma anche in questi anni l’ombra di altri movimenti sospetti, da una parte della maxitangente
Enimont - accertò la magistratura milanese - a operazioni che coinvolgevano la Banca della
Svizzera italiana gestita da Giampiero Fiorani. Ora, dopo un ventennio, oneri e onori passano a
Gotti Tedeschi.


Francesco Manacorda        La Stampa  24 settembre 2009