Impegno e speranza unica via

È stata un’estate apocalittica: ci ha svelato che molte cose e persone, situazioni e prospettive sono
peggiori di quanto immaginavamo.
C’è una crisi profonda nell’aria. Peggio: prende forma e peso. Si concretizza nei comportamenti,
negli stili di vita, nelle scelte e negli affari, nelle menzogne, negli egoismi sfrenati, nel disprezzo
degli altri, nella violenza di parole, scritti, gesti. Tutto ciò rivela una grave minaccia per le
istituzioni pubbliche, la democrazia e la libertà. Una vera emergenza culturale e morale che pervade
la comunità civile ma non risparmia la comunità ecclesiale.

Quest’estate, forse per la prima volta, ho sentito il peso, l’imbarazzo, quasi una voglia di rifiuto di
fronte al mestiere che ho fatto e in qualche modo continuo a fare tuttora. Ho provato il disagio,
come giornalista, per le cose che si debbono raccontare, per il modo in cui alcuni colleghi le
raccontano, per il modo in cui altri le tacciono, per la distanza che spesso s’intravvede tra quel che
si pensa e quel che si scrive. Mi chiedo se e come è possibile scrivere senza rattristare e senza
offendere, senza tacere e senza gridare, senza inquietare ma senza scoraggiare. Come raccontare
delle debolezze e della melma senza sporcarsi…

E poi la domanda che preme: ma davvero conviene conoscere e raccontare la realtà? Serve a
qualcuno? Aiuterà a costruire o a distruggere?

Mai come in queste settimane, tuttavia, mi è apparsa attualissima la convinzione di un vero
cristiano, amico di Montini e di Calamandrei, Andrea Trebeschi. Un grande intellettuale e
protagonista della Resistenza bresciana, che davanti allo sfacelo del Paese e alla scandalo di tanti
tradimenti scriveva nel 1943, due anni prima di morire a Gusen di Mauthausen: «Se il mondo fosse
monopolio dei pessimisti, sarebbe da tempo sommerso da un nuovo diluvio; e se oggi la tragedia
sembra inghiottirci, si deve alla malvagità di alcuni, ma soprattutto all’indifferenza della
maggioranza. Il credo di troppa gente non ebbe, fin qui, che due articoli:
– “non vi è nulla da fare”
– “tutto ciò che si fa non serve a nulla”
Quel che importa è che ognuno, secondo le proprie possibilità e facoltà, contribuisca di persona alle
molte iniziative di bene, spirituale, intellettuale e morale. Un mondo nuovo si elabora. Che sia
migliore o ancor peggio, dipende da noi».

Eccoci dunque a riflettere su tutto quel che abbiamo visto e sentito in questi mesi, per farcene
carico. Il segretario della Cei monsignor Crociata ha trovato l’espressione giusta, che era usata
spesso anche da Vittorio Bachelet quando invitava giovani e adulti di Azione cattolica a lavorare
nella Chiesa per i fratelli con vero spirito di servizio: farsi carico. Cioè mettersi sulle spalle i
problemi, le difficoltà, le fatiche di tutti: farsene servitori con coraggio, pazienza, disinteresse, con
serenità e se possibile con gioia.

Ciò non esclude naturalmente che si debbano chiamare le cose con il loro nome, altrimenti sarebbe
impossibile affrontarle e correggerle: la prepotenza e la volgarità dei potenti, la presunzione e il
clericalismo di tanti uomini che mettono a dura prova la purezza e la misericordia della Chiesa e la
sua credibilità presso i giovani e i “lontani”, l’occupazione del potere civile da parte di bande
organizzate, l’aggressione alle libertà di pensiero, di informazione e di stampa; l’ostilità e la
violenza verso gli uomini di cultura, religione, sesso o patria diversi…
Davanti a tutto c’è una sola via: rispondere con l’impegno e con la speranza che è possibile
migliorare il mondo non uccidendo o schiacciando l’altro, ma offrendogli una parola e una mano.

Impegnarsi per una politica migliore e più pulita, un’informazione più libera, una economia più
giusta ed efficiente; una cultura più seria, una chiesa molto più evangelica e credibile.

Alla speranza i credenti aggiungono la preghiera: affinché tutte le persone coinvolte nelle vicende di
cui si parla trovino pace e forza per convertirsi; la società politica ritrovi servitori degni di questo
nome; e la Chiesa abbia il coraggio di un sincero e profondo esame di coscienza.

Angelo Bertani       Adista - Segni nuovi – n. 95   26 settembre 2009