Un paese che non ha
più misericordia
Caro Direttore,
La scorsa domenica ho letto sulla Stampa l’intervento di Barbara Spinelli che
segnalava lo scarso
senso delle leggi, soprattutto delle leggi umanitarie da parte di molti italiani.
Diceva la giornalista
che la cultura corrente, il modo di pensare degli italiani ha perso il senso
della pietà ed è sempre più
portata a fare legge i propri interessi veri o presunti con scarso rispetto per
i diritti sanciti dai
parlamenti o dalle organizzazioni internazionali.
Io non posso che essere d’accordo con la Spinelli ma vorrei aggiungere, da
cristiano, un’altra
osservazione e preoccupazione che come credente mi affligge, preoccupazione che
si aggrava
quando osservo i comportamenti di certa gerarchia ecclesiastica e del
Vaticano.
Lunedì trentuno agosto, in un articolo su di un quotidiano nazionale il
direttore dell’Osservatore
Romano in pratica rimproverava al direttore dell’Avvenire di aver esagerato nei
giudizi sui
comportamenti morali del premier. Aggiungeva il direttore del giornale vaticano
che i giornalisti
«sono a caccia di prelati» più o meno competenti sul tema dei rapporti con il
governo e ripeteva per
l’ennesima volta che l’opinione di molti prelati non era quella della Santa
Sede. Quando ci diranno
una volta per tutte quale è l’opinione della Santa Sede? Mi piacerebbe
conoscerla.
Io vorrei esprimere, modestamente, il punto di vista di un
cristiano che ama leggere tutti i giorni il
Vangelo e pregare lungamente sulla parola di Gesù. Nel Carcere dei minorenni di
Milano e in
diverse città, io cammino a piedi, prendo il tram o la metropolitana, bazzico in
alcuni bar di
quartiere, nei cortili. Respiro una brutta aria di ostilità, di diffidenza, di
domanda di sicurezza fatta
con le forze dell’Ordine o dalle ronde, come fossimo non i cittadini della
stessa città, persone che
sono chiamate a costruire collaborazione e comunità, ma nemici. Non sento più
da anni la parola
misericordia, solidarietà, accoglienza, vita sociale.
Nemici siamo un po’ tutti, in modo speciale tutti i poveri, soprattutto gli
stranieri. Nel Vangelo che
leggo ogni mattina la scelta di fede è chiara: cercare il volto di Dio ed amare
i fratelli. Il Dio dei
cristiani non è un soggetto sconosciuto ed i suoi comandi non sono vaghi e la
fede consiste non
tanto nel credere che in qualche parte del cielo Dio esiste quanto, ubbidire ai
suoi comandi.
Se la indagine di Sky24 afferma che il 71% degli italiani intervistati ha
chiesto il carcere per i
cinque scampati dal terribile naufragio che ha fatto annegare nel Mediterraneo
quasi settanta somali,
si può affermare che la pietà l’è morta, ma anche che viene celebrata la
bestemmia più grande
contro Dio che in Gesù ci ha comunicato che ogni uomo e donna è figlio o figlia
di Dio.
Grandi scandali per i temi familiari e sessuali, grande prudenza a tenere i
buoni rapporti con il
governo in carica, bacchetta per chi si dimostra moralista.
E diciamolo che non è buonismo predicare la fraternità, che Gesù
era bravo anche a litigare ma non
disprezzava nessuno, che la punizione è uno strumento ma non può andare senza la
misericordia e
la fraternità. «Non sono i tuoi fratelli, sono i tuoi nemici». Non è la voce del
grande nemico, di
«colui che separa»?
Non credo che la responsabilità di questa cultura sia soltanto dei media o dei
politici in carica anche
se questo governo ci mette molto del suo ma non si tratta forse della immoralità
fondamentale per
un cristiano e per la Chiesa? Perfino nelle confessioni il grande peccato che
troppi giovani adulti
denunciano è quello del «non essere andati a messa qualche domenica» come se la
giustizia, la
solidarietà, la politica, l’accoglienza fossero eccezioni per cristiani
eccezionali, forse debolezza.
Saremmo discepoli di Uno che è stato arrestato, condannato e ucciso per
quello che faceva e diceva,
il sospetto di essere troppo diversi io ce l’ho non poco.
di don Gino Rigoldi, Cappellano Carcere Beccaria di Milano
La Stampa 2 settembre 2009
La coscienza orfana
della legge
Stando a un sondaggio di SkyTg24, sono molti gli italiani convinti che i
cinque eritrei sopravvissuti
alla morte nel Mediterraneo vadano processati per reato di immigrazione
clandestina: il 71 per
cento. Su quel barcone sono periti 73 fuggiaschi, tra il 18 e il 20
agosto, eppure non sembra esserci
emozione di fronte al naufragio ma solo famelica ansia di allontanare gli alieni
dalle nostre terre,
con ogni mezzo. Erano uomini di troppo i sommersi, e lo sono anche i
salvati. I ministri di
Berlusconi ne approfittano per ricordare che i respingimenti funzionano, che si
fan rari gli intrepidi
che tentano le traversate: nessuno porta il lutto per i sommersi né immagina
quel che hanno vissuto
i salvati. Se ci son colpe, è l’Europa a commetterle. La miseria del mondo non
può addensarsi sul
Sud del continente. Non siamo buoni al punto da esser fessi: questo fanno capire
Maroni, Calderoli,
e gli italiani sembrano sostenerli.
Ma forse l’opinione pubblica li sostiene perché scandalosamente male informata,
non solo su quello
che accade nel mondo ma su quello che succede in Italia, nell’anima d’ognuno di
noi. Gli italiani
non sono informati, e ancor meno formati, da guide morali alla testa del paese.
Non conoscono
l’insipienza di un’Unione europea incapace di darsi regolamenti vincolanti e
rispettosi dei diritti,
riguardo agli immigrati irregolari. Non sanno quel che prescrivono le
convenzioni internazionali, la
Costituzione, e le antiche leggi del mare che obbligano al salvataggio del
naufrago anche in acque
territoriali straniere (Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, cap 11 e
12; Convenzione delle
Nazioni Unite del 1982 sul diritto del mare, cap 98, 1 e 18,2).
Abbiamo parlato di emozione, ma non è l’unico istinto a far difetto.
Quel che è profondamente
incrinato, se non spezzato, è il rapporto che gli italiani - cominciando da chi
oggi pretende di
governarli - hanno con la legge. Quale che sia la legge, nazionale o
internazionale, essa è vista come qualcosa di esterno al singolo, allontanata
dalla nostra coscienza.
È come se la coscienza nazionale e dell’individuo
avesse preso le sembianze e il lessico di un’azienda. Nelle aziende si usa
esternalizzare a imprese terze la gestione di alcune operazioni che non fanno
parte del core
business. Così la coscienza: dal suo core business, dalla sua
principale attività, il senso della legge
viene scacciato in terre aliene.
Questo allontanamento non è in verità nuovo. Piero Calamandrei lo
smascherò, il 30 marzo 1956,
quando pronunciò a Palermo la sua ultima arringa in tribunale, in difesa di
Danilo Dolci e della sua
protesta (sciopero della fame contro i pescherecci contrabbandieri tollerati dal
governo; sterramento
gratuito di una strada abbandonata presso Palermo, da parte di gruppi di
disoccupati). Narrando la
«maledizione secolare» dell’Italia disse: «Il popolo non ha fiducia nelle
leggi perché non è convinto
che queste siano le sue leggi. Ha sempre sentito lo Stato come un nemico. Da
secoli i poveri hanno
il sentimento che le leggi siano per loro una beffa dei ricchi: hanno della
legalità e della giustizia
un’idea terrificante, come di un mostruoso meccanismo ostile fatto per
schiacciarli, come di un
labirinto di tranelli burocratici predisposti per gabbare il povero e soffocare
sotto carte
incomprensibili tutti i suoi giusti reclami».
Quel che è cambiato, dal ‘56, è che nel frattempo non sono solo i poveri a farsi
un’idea soffocante
della legalità, della giustizia, dello Stato di diritto. Se Berlusconi è
tanto popolare, se a Nord la Lega
è oggi il primo partito operaio, vuol dire che anche i ricchi si sentono gabbati
e schiacciati da ogni
sorta di regole: legali, costituzionali, internazionali. Che
l’esteriorizzazione della legge è ormai una
patologia diffusa, intensificata da una ostilità senza precedente alla stampa
veramente libera. Se si
esclude il dramma degli immigrati, la legalità e la battaglia alla corruzione
non sono prioritarie
neppure per alti esponenti della Chiesa, che pur di ottenere favori e pubblicità
accettano di
compromettersi. Di qui la sensazione che siamo male informati anche su quel
che succede nei nostri
animi. Una coscienza che delocalizza la legge è vuota, è pelle senza corpo.
Neppure le riforme
economiche riescono, in queste condizioni. Diceva ancora Calamandrei che
democrazia è
innanzitutto «fiducia del popolo nelle sue leggi»: leggi che il popolo
sente «come le sue leggi, come
scaturite dalla sua coscienza, non come imposte dall'alto. Affinché la legalità
discenda dai codici nel
costume, bisogna che le leggi vengano dal di dentro, non dal di fuori: le leggi
che il popolo rispetta,
perché esso stesso le ha volute così» (i corsivi sono miei).
La legge del mare violata più volte negli ultimi anni è una
delle nostre leggi: plurisecolare, fu
codificata fra il ‘700 e il ‘900. Lo stesso dicasi per le condotte private che
l’uomo pubblico deve
avere per divenire modello oltre che capo o dirigente. All’inizio, tutte queste
erano leggi non scritte,
ataviche. Una sorta di permanente stato di eccezione ha sospeso anche le leggi
che Antigone difende
contro i decreti d’emergenza di Creonte. «Antigone obbedisce soltanto alla legge
morale della
coscienza, alle “leggi non scritte” che preannunciano l’avvenire», dice
Calamandrei. Oggi tali leggi
sono scritte, proprio perché si è riconosciuto che oltre a portare ordine sono
anche annunciatrici
dell’avvenire.
La maledizione antica si è fatta più spavalda, nei 15 anni passati. Non solo
manca la fierezza della
legge. C’è una sorta di fierezza dell’illegalità, ci sono tabù di civiltà
fatti cadere con spocchia. Il
degrado non è avvenuto con lo sdoganamento di Alleanza Nazionale, come si
credette nei primi
anni ‘90, ma con lo sdoganamento delle idee, degli atti, delle parole della
Lega.
E di questo affrancamento non è responsabile solo Berlusconi.
È responsabile anche la sinistra, incurante dei
principi quando è in gioco il potere (D’Alema parlò dei leghisti come di una
«costola della sinistra»,
negli anni ‘90). Lo è ancor più da quando il Nord leghista si è ulteriormente
disinibito. In ben 17
comuni del Veneto, il Partito democratico governa oggi con la Lega, senza
rimorsi.
È lunga ormai la lista delle devianze leghiste, e quasi ci meravigliamo che
all’estero non ci si abitui
come ci siamo abituati noi. Ma come abituarsi a quanto sentito in coincidenza
con l’ecatombe di
agosto! Una pagina Facebook di militanti della Lega Nord con sede a Mirano,
cui sono legati da
«amicizia» oltre 400 persone, ha esibito qualche giorno fa la scritta:
«Immigrati clandestini:
torturali! E’ legittima difesa». Tra gli amici citati: Bossi e il figlio Renzo,
Cota capogruppo della
Lega alla Camera, Boso ex parlamentare leghista. Lo stesso Renzo Bossi ha ideato
un gioco di gran
successo, sulla pagina di Facebook della Lega. S’intitola: «Rimbalza il
clandestino». Più barche
affondi, con un clic preciso e deciso, più punti vinci. Soprattutto se i barconi
son grandi e i profughi
molti.
Tuttavia c’è un’immensa ansia di redenzione in Italia -
e in particolare di redenzione attraverso la
Legge - che si esprime in vari modi e ha i suoi protagonisti solitari, cocciuti,
impavidi. Il desiderio
di redenzione è passione civile, non solo religiosa. Ne furono pervasi
scrittori del ‘900 come Walter
Benjamin e Hermann Broch, durante il nazismo. In Italia ne ebbero sete uomini
come Borsellino,
Falcone, Ambrosoli, Pasolini, e oggi Roberto Saviano. È strano come i loro
vocabolari si somiglino.
Borsellino sognava il «fresco profumo di libertà», contro «il puzzo del
compromesso morale,
dell’indifferenza, della contiguità, della complicità».
E altri sognarono aria pulita e uno Stato riformato. Checché ne dicano i
sondaggi non c’è italiano,
credo, che non aneli a quell’aria pulita e a quel fresco profumo.
Barbara Spinelli La Stampa 30 agosto 2009