L'ossessione del diverso
In appena pochi giorni, due fondamenti «ideologici» della campagna sulla sicurezza, condotta dal
centro destra, hanno rivelato la loro fragilità. Prima, un bilancio finalmente razionale degli effetti
dell’indulto, a tre anni dall’approvazione, ha mostrato inequivocabilmente come quella misura, pur
con i suoi limiti, sia stata utile al carcere e alla società (la recidiva tra chi ne ha beneficiato è assai
meno della metà di quella registrata tra chi ha scontato per intero la pena). Poi, i dati del 2008 sulla
criminalità hanno confermato che le statistiche dei delitti sono permanentemente in calo da alcuni
decenni, pur presentando occasionali picchi e temporanei incrementi per una o l’altra tipologia di
reato. Basti pensare agli omicidi volontari, ridottisi a un terzo rispetto ai primi anni 90.
Questo vuol forse dire che la vita quotidiana dei cittadini, specie dei meno garantiti, si svolge in un
clima di incondizionata serenità? Assolutamente no. Ma si tenga conto di due fattori. Il primo: il
centrodestra ha operato alacremente affinché la categoria di insicurezza, che oggi evoca in primo
luogo incertezza economica e precarietà sociale, si concentrasse tutta sul pericolo vero o presunto,
di attentati all’incolumità personale. Secondo fattore: il centro destra ha fatto sì che la sicurezza
correlata alla paura per sé e per i propri beni, diventasse una sorta di paranoia collettiva! Tra il 2006
e il 2007, lo spazio dedicato complessivamente dai telegiornali alle notizie sulla criminalità è
passato da circa il 10% a circa il 23% (!). Chi di noi, anche il più dotato di nervi di acciaio, avrebbe
potuto resistere ad una tale «galvanizzazione emotiva?» Ancora un dato: tra i beneficiari
dell’indulto, gli stranieri reiterano il reato in misura assai inferiore a quanto facciano gli italiani, a
conferma del fatto che le dimensioni della criminalità immigrata, certo assai diffusa, risultano
profondamente alterate dal sistema mediatico. Se ne dovrebbe ricavare che sia l’insicurezza reale (i
vecchi e i nuovi reati) che quella percepita (le condizioni di stress collettivo) esigerebbero politiche
pubbliche di segno tutt’affatto diverso. Politiche indirizzate verso un controllo del territorio,
affidato oltre che alle forze dell’ordine, a una intensificazione della vita sociale e delle relazioni
collettive. Invece che al ricorso a milizie private e a un sistema di veti, interdizioni, proibizioni e
vincoli: dal controllo sugli stili di vita individuali sino al divieto di indossare gli zoccoli in alcune
aree urbane e di costruire castelli di sabbia in certe spiagge (non scherzo: è tutto vero). E così, con
le nuove norme sulla sicurezza, si è scelto di operare innanzitutto sul piano simbolico e
dell’immaginario: inevitabile che questo esigesse l’indicazione di un capro espiatorio.
Facile, troppo facile che esso assumesse i tratti fisiognomici e culturali, caratteriali e
comportamentali del diverso, proveniente da un altrove, presentato come fatalmente nemico. Ma
osservateli meglio, quei tratti: essi risultano ricalcati, connotato per connotato, su quelli che, agli
inizi del ’900, le autorità di polizia americane attribuivano agli italiani immigrati in quel paese.
Luigi Manconi
Così i bambini diventano invisibili
Sono una bambina appena nata. Peso 2 chili e 30. Mia mamma è clandestina. È venuta da lontano,
da una regione tra Etiopia e Somalia. Non sa dire se sia più somala o etiope. Ha fatto un viaggio
difficile. Ha attraversato un deserto, un mare, la sua paura, gli stupri. Una volta qui le hanno negato
il permesso per ragioni umanitarie. Dicono che non si capisce da dove viene. E loro, se non
capiscono, non stanno a perdere tempo, dicono no e basta. Ma tu con quel NO ci devi convivere.
Mamma si è presa il NO e si è nascosta. Con me in pancia. Poi un’amica l’ha portata in ospedale
perché le si sono rotte le acque. Lei all’ospedale non voleva venire: faccio da sola, diceva. Oh
mamma, mi puoi rimettere dentro la pancia? Questo fuori non mi piace. Dentro nuotavo felice,
mentre qui fuori è tutto cattivo. Mi dovresti registrare all’anagrafe, ma siccome sei clandestina non
puoi. Qualcuno ti ha detto che avrai il permesso temporaneo e mi potrai registrare. Ma per il
permesso serve un passaporto. E tu non hai passaporto, mamma. Né etiope, né somalo. Niente
passaporto, niente registrazione. Ci vogliono separare. La legge italiana, lo ha spiegato quella
signora bionda nel letto accanto, è cattiva. Tua figlia, ha detto, è una neonata sconosciuta
all’anagrafe. Un fantasma. Il tribunale dei minori la tratterà come una bimba senza genitori. Il
giudice la affiderà ai servizi sociali. Te la strapperanno dalle braccia. Mia madre ha pianto. Capisce
Igiaba Scego
La legge del ricatto e del lavoro nero
Il 7 luglio Jacques Barrot, vicepresidente della Commissione europea e Commissario della giustizia,
della sicurezza e delle libertà ricordava che il reato d’immigrazione illegale non è compatibile con
la norma comunitaria poiché la nuova legge sull’immigrazione si scontra con un principio base
dell’Ue che è quello della libertà di circolazione. «Quando il governo italiano fa votare una legge
che introduce il reato d’immigrazione illegale – ha dichiarato Barrot - e quando questo reato può
accompagnarsi ad un’espulsione immediata, allora la legislazione italiana è contro il diritto
comunitario» perché in Italia possono facilmente trovarsi in queste condizioni anche cittadini Ue, ad
esempio rumeni o bulgari che, per la maggior parte, non hanno diritto di lavorare legalmente in
Italia. Lo stesso discorso vale per i rom. Mi viene in mente «baba», una anziana rom che vive in un
campo di Milano, cittadina bosniaca, superstite del campo di concentramento di Jasenovac, che da
20 anni vive in Italia e ora è clandestina. Mi chiedo che Stato è quello che per 20 anni tiene in stato
di irregolarità una donna che nel frattempo ha avuto figli e nipoti nati in Italia, anche loro
clandestini, e poi la trasforma in una criminale. Come lei sono migliaia i rom che ora diventano
delinquenti come i raccoglitori di pomodoro nelle campagne del sud sfruttati dai caporali, ma alle
belle famiglie italiane le badanti ucraine, rumene, russe continueranno a cambiare il pannolone ai
loro vecchi perché questo Stato fa una deroga ipocrita e discriminante. Viva la famiglia e viva il
Dijana Pavlovic