Crocifisso sì, laicità forse
Libera Chiesa. Il Consiglio di Stato ha parlato: il simbolo cristiano deve rimanere appeso nelle scuole, in quanto riferimento ''idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili''
 

Appare per molti aspetti discutibile la sentenza del Consiglio di Stato, che ha respinto il ricorso della cittadina svedese Solle Lauti, in merito alla presenza del crocifisso nell'aula di scuola media inferiore frequentata dai suoi figli ad Abano Terme, in provincia di Padova.
In primo luogo, nel documento il crocifisso viene ritenuto "abilitato" a restare al suo posto non in quanto oggetto di culto, ma perché "simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili", intendendo per valori civili la tolleranza, il rispetto reciproco, quello dell'individuo in sé, e dei suoi diritti. Una serie di considerazioni che inevitabilmente sembrano trasferire competenze e funzioni di uno stato laico alle attenzioni e alla premura della religione che il crocifisso rappresenta.

Non a caso, dunque, sfogliando attentamente le 19 pagine della sentenza emergono diretti riferimenti al concetto di laicità, la quale secondo il Consiglio di Stato, "benché presupponga e richieda ovunque la distinzione tra la dimensione temporale e la dimensione spirituale, e fra gli ordini e le società cui tali dimensioni sono proprie, non si realizza in termini costanti e uniformi nei diversi Paesi ma, pur all'interno della medesima civiltà, è relativa alla specifica organizzazione istituzionale di ciascuno Stato, e quindi essenzialmente storica, legata com'è al divenire di questa organizzazione". Da quanto scritto sembra esserci un tentativo, francamente piuttosto maldestro, di coniugare valori laici e cattolici, cosa di per sé assolutamente legittima e storicamente fondata, ma con l'intenzione di giustificare in questo modo una specifica e simbolica presenza religiosa all'interno di uno spazio pubblico, e dunque obbligatoriamente da tutelare attraverso principi laici, che prevedono in tema religioso la libertà e il rispetto di qualsiasi orientamento di fede. Oltre questo, la teoria così esposta in qualche modo invita a distinguere tra vari tipi di laicismo, in base alle evoluzioni storico-religiose avutesi nel corso del tempo, nelle realtà più diverse.

Detto questo, è lo stesso Consiglio di Stato che lascia alle dispute dottrinarie la definizione "delicata" e astratta di laicità: "In questa sede giurisdizionale si tratta in concreto e più semplicemente di verificare se l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche sia lesiva dei contenuti delle norme fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, che danno forma e sostanza al principio di laicità che connota oggi lo Stato italiano, e al quale ha fatto più volte riferimento la Corte Costituzionale". "È evidente – si legge più avanti – che il crocifisso è esso stesso un simbolo che può assumere diversi significati e servire per intenti diversi; innanzitutto per il luogo in cui è posto". Se dunque in un luogo di culto "è propriamente ed esclusivamente un simbolo religioso", la situazione può essere interpretata in maniera diversa "in una sede non religiosa, come la scuola, destinata all'educazione dei giovani", perché in questo caso "il crocifisso potrà ancora rivestire per i credenti i già accennati valori religiosi, ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo), valori civilmente rilevanti".

Stando alle motivazioni della sentenza, si potrebbe allora obiettare che non solo il crocifisso deve considerarsi l'emblema perfetto di valori universali; perché, se questo è l'obiettivo "simbolico", accanto al Cristo sofferente per l'umanità, nelle aule ci starebbe bene anche una bandiera con i tanti colori della pace. Ma questa (forse) è un'altra storia.

 

 E. S.      AprileOnLine  n.103   del 16/02/2006