Sul premier la Chiesa è stata chiara?
Caro direttore,
come ha notato un osservatore non compiacente con la Chiesa quale Adriano Prosperi, non si può
onestamente sostenere che da essa non si siano levate voci critiche circa i comportamenti
indifendibili e svergognati del premier. Tuttavia, non si può neppure asserire, come fa Dino Boffo,
che, dalle gerarchie ecclesiastiche, siano state pronunciate parole forti e chiare. Parole severe e
inequivoche all'altezza, diciamo così, di quei comportamenti e del messaggio che essi veicolano.
Perlopiù si è invocata chiarezza. Ma, domando, ai fini del giudizio etico di che altro abbiamo
bisogno? Ciò di cui siamo a conoscenza non è già sin troppo chiaro? La verità è che il degrado
morale inerente alla vita pubblica e politica si è spinto a una misura tale che l'unica parola adeguata
da parte degli uomini di Chiesa dovrebbe avere lo spessore e l'energia dell'invettiva dei profeti
dell'Antico Testamento. Ogni altra parola è non solo inutile, ma nociva. Finirebbe per minimizzare,
per accreditare l'idea che si possa discutere su ciò che non s'ha da discutere. Si deve solo avere il
coraggio di pronunciare parole di verità. Se non si è disposti a questo, meglio tacere. Meglio il
silenzio che non il balbettio di qualche giudizio cauteloso e circospetto. Penso a discussioni
francamente oziose del tipo: quale il rapporto tra vita pubblica e vita privata oppure se il politico si
giudica in rapporto ai suoi atti di governo e non ai suoi comportamenti personali… Dispute
palesemente elusive. Quando mai la Chiesa ha legittimato le morali separate? La scissione tra l'etica
pubblica e la morale personale? Ancora: nel caso in oggetto, come non riconoscere la macroscopica
valenza pubblico-politica dei problemi in gioco? Penso alla dignità della donna, al decoro delle
istituzioni, alla menzogna dell'uomo pubblico, al buon nome dell'Italia, alla perversione nel
reclutamento del personale politico, al bavaglio all'informazione.
Chi ha a cuore il bene della Chiesa e il suo prezioso servizio alla comunità deve profittare della
circostanza per mettere a tema tre questioni.
La prima: l'accresciuto ruolo pubblico delle religioni e segnatamente della Chiesa cattolica in Italia
rappresenta una sfida. È un'opportunità, ma può rappresentare un problema. Tutto dipende dalla
piega che esso prende: nel senso di una religione civile che scende a patti con il potere ovvero nel
segno di una profezia della "differenza evangelica" e delle sue esigenti implicazioni etiche. Mi pare
evidente che, negli ultimi anni, in Italia si sia prodotto uno sbilanciamento a discapito della tensione
profetica.
Seconda questione: l'ha posta efficacemente Michele Serra. Davvero, si chiedeva, era necessario lo
sventolio di mutande perché gli uomini di Chiesa aprissero gli occhi sulla vera e propria regressione
etico-antropologica prodotta da vent'anni di pervasiva e corrosiva "inculturazione berlusconiana"? È
la testimonianza di un vistoso deficit di attitudine al discernimento, nonostante la fenomenologia
fosse macroscopica. Il via vai di escort nei palazzi del potere altro non è che il frutto di una
concezione della vita, della persona, della famiglia e della società, che ha fatto breccia da gran
tempo nelle fibre profonde del nostro paese. Che un'istituzione educativa quale è la Chiesa,
portatrice di una visione manifestamente opposta (se ho inteso qualcosa del Vangelo e della vita
cristiana), se ne renda conto solo oggi, che essa non l'abbia percepita e contrastata per tempo e con
la massima energia induce a qualche riflessione critica sulle sue antenne spirituali.
La terza questione contempla luci e ombre. Le lettere ad "Avvenire" di sacerdoti e semplici fedeli
che manifestano disagio e talvolta indignazione per il balbettio degli uomini di Chiesa rivelano che,
grazie a Dio, una sensibilità/reattività sopravvive nel popolo di Dio. Ma un approccio analitico che
posso solo accennare suggerisce il sospetto che essa riguardi solo una porzione di esso. Quei preti e
quei laici che, d'istinto, giustamente reagiscono con sdegno a uno spettacolo degradante e offensivo
per chi conduce una vita sobria, onesta e intessuta di quotidiani sacrifici. L'impressione è che, a
fronte di essi, stiano però settori della gerarchia troppo inclini all'appeasement con i potenti di turno
e anche, va detto, un'ampia platea di fedeli che scambiano la misericordia con la complicità, il
"sensus fidei" con il senso comune più corrivo. Un signor problema, questo della omologazione dei
cristiani, della loro… scristianizzazione, che dovrebbe stare al vertice delle preoccupazioni pastorali
Franco Monaco