Onorevole Pecorella perché infanga don Peppe Diana?

 

Mi è capitato nella vita di fare pochissimi giuramenti a me stesso. Uno di questi, che non riuscirei a

tradire se non vergognandomi profondamente, è difendere la memoria di chi nella mia terra è morto

per combattere i clan. Ho giurato a me stesso sulla tomba di Don Peppe Diana il giorno in cui alcuni

cronisti locali, alcuni politici e diversa parte di quella che qualcuno chiama opinione pubblica

iniziarono un lento e subdolo tentativo di delegittimarlo.

Il venticello classico di certe parti d´Italia che calunnia ogni cosa che la smaschera; il tentativo di

salvare se stessi dalla scottante domanda «perché io non ho mai detto o fatto niente?». Ho letto in

questi giorni sulla rivista Antimafia Duemila che due ragazzi, Dario Parazzoli e Alessandro Didoni,

hanno chiesto durante una trasmissione Tv a Gaetano Pecorella come mai, quando era presidente

della commissione giustizia, difendeva al contempo il boss casalese egemone in Spagna Nunzio De

Falco, poi condannato come mandante dell´omicidio di Don Peppe Diana. Mi ha colpito e ferito

sentire alcune dichiarazioni dell´Onorevole Pecorella in merito all´assassinio di Don Peppe Diana.

 

In una intervista al giornalista Nello Trocchia per il sito Articolo 21, Pecorella dichiara: «Io dico che

tra i moventi indicati, agli atti del processo, ce ne sono tra i più diversi. Nel processo qualcuno ha

parlato di una vendetta per gelosia, altri hanno riferito che sarebbe stato ucciso perché si volevano

deviare le indagini che erano in corso su un altro gruppo criminale. E altri hanno riferito anche il

fatto che conservasse le armi del clan. Nessuno ha mai detto perché è avvenuto questo omicidio,

visto che non c´erano precedenti per ricostruire i fatti. Se uno conosce le carte del processo, conosce

che ci sono indicate da diverse fonti, diversi moventi». Proprio leggendo le carte si evince

chiaramente che non è così, Onorevole Pecorella. Perché dice questo? È vero esattamente il

contrario. Dalle carte del processo emerge invece che è tutto chiaro. E pure la sentenza della Corte

di Cassazione del 4 marzo 2004 conferma che Don Peppe è stato ucciso per il suo impegno

antimafia e per nessun´altra ragione. Che De Falco (di cui lei, Onorevole, ha assunto la difesa) ha

ordinato l´uccisione di Don Peppe per dimostrare, uccidendo un nemico in tonaca, un nemico senza

armi, che il suo gruppo era più forte e coraggioso di quello di Sandokan. E anche per deviare la

pressione dello Stato proprio sul clan Schiavone. Quelli che lei definisce più volte "moventi

indicati" furono, come dimostrano le sentenze, delle calunnie che alcuni camorristi portarono per

lungo tempo in sede processuale per discolparsi. Calunnie nate dal fatto che persino loro cercavano

di lavarsi le mani, in buona o cattiva fede, del sangue innocente che avevano versato. Ne avevano

vergogna. Questo è quel che dicono gli iter conclusi della giustizia italiana. Ed è per questo che la

risposta che l´Onorevole Pecorella ha dato appena qualche giorno fa alla domanda se Don Diana, a

suo avviso, non fosse stato ucciso per il suo impegno contro i clan lascia basiti. L´onorevole dice:

«Io non ho avvisi. Io riporto quello che è emerso nel processo e nulla più. Ci sono diversi moventi,

c´è anche quello, che all´inizio non era emerso, che faceva attività anticamorra. Per la verità nel

processo non è venuto fuori molto chiaro neanche questo come movente. È inutile che costruiamo

delle fantasie sulle ipotesi. Quella dell´impegno anticamorra è tra le ipotesi. Ma nel processo non è

emerso in modo clamoroso, non è mai venuta fuori un´attività di trascinamento, di gente in piazza.

 

Non è che c´erano state manifestazioni pubbliche, documenti. Qualcuno ha detto anche questa

ragione. Come vede ci sono tanti moventi. Certamente è stato ucciso dalla camorra. Chi viene

ucciso dalla camorra è una vittima della camorra. Ora se è un martire bisogna capirlo dal movente

che non è stato chiarito». È stato chiarito. Lo Stato Italiano considera Don Peppe un martire della

battaglia antimafia, migliaia di persone hanno sfilato in sua difesa. E i documenti che non ci

sarebbero, ci sono eccome. Hanno non solo un nome, ma anche un titolo: «Per amore del mio

popolo non tacerò». È il documento stilato da Don Peppe insieme ad altri preti della forania di Casal

di Principe in cui viene annunciata una battaglia pacifica, ma priva di compromessi alle logiche dei

clan, al loro predominio, alla loro mentalità, alla loro cultura, alla loro falsa aderenza alla fede

cristiana. Persino Papa Giovanni Paolo II, dopo la morte di Don Peppino Diana, pronunciò nell

´Angelus: «Voglia il signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro [...] produca frutti [..]di

solidarietà e di pace». Per Giovanni Paolo non ci furono dubbi, fu un martire. Per Lei, Onorevole

Pecorella, invece ce ne sono. Perché, mi chiedo? Le chiedo inoltre se considera legittimo rivestire il

ruolo di Presidente della Commissione Giustizia del Parlamento Italiano e portare avanti la difesa

del boss Nunzio De Falco? Lei immagino mi risponderà di sì, che anche il peggiore dei presunti

criminali, ne ha il diritto. Ma questo principio di garanzia vale soltanto fino al verdetto finale. Tale

verdetto di colpevolezza del suo mandante è stato emesso e confermato. Quindi la prego di non

diffondere falsi dubbi sulla condanna a morte di Don Diana. Chi ha ucciso Don Peppe Diana è uno

dei clan più potenti e feroci d´Italia che ha ancora due latitanti, Iovine e Zagaria, liberi di investire,

costruire, e portare avanti i loro affari. Oggi, Onorevole Pecorella, lei è presidente della

commissione d´inchiesta sui rifiuti, e i Casalesi, come saprà, sono i maggiori affaristi nel traffico di

rifiuti tossici e legali. Loro quindi dovrebbero essere i suoi maggiori nemici anche se in passato ha

difeso in sedi processuali i loro capi. La prego di avere rispetto per Don Peppe e non dare

nuovamente credito a calunnie che negli anni passati killer e mandanti hanno cercato di riversare su

una loro vittima innocente. Questa mia domanda non è questione di destra o di sinistra. La legalità è

la premessa del dibattito politico, o almeno dovrebbe esserlo. La premessa e non il risultato.

 

Quando iniziai a trascrivere delle parole che Don Peppe aveva detto nel Casertano ho ricevuto

lettere commosse da molti lettori conservatori, da cattolici di Comunione e Liberazione sino ai

ragazzi della Comunità di Sant´Egidio, dalla comunità ebraica romana e da tante altre. La battaglia

alle organizzazioni criminali, l´ho vista fare da persone di ogni estrazione politica e sociale. Ho

visto, quando ero bambino, manifestazioni nei paesi assediati dalla camorra in cui sfilavano insieme

militanti missini, democristiani, comunisti e repubblicani. L´onestà non ha colore, spesso così come

non ne ha l´illegalità. Per questo, il mio non è un appello che possa essere ascritto a una parte

politica. Non permetterò mai a nessuno, e come dicevo me lo sono giurato, che la memoria di Don

Peppe sia oltraggiata da accuse false, demolite dai Tribunali, che ebbero il solo scopo di screditare

le sue parole, emettendo nel silenzio il ronzio malefico «quello che dice non è vero». Questo non lo

permetterò. Lei mi dirà che questa mia è una battaglia troppo personale. Io le ribadirei che, sì, lo è, è

vero. Tutto ciò che riguarda la mia terra, ormai riguarda la mia vita stessa e quindi non può che

essere personale. Difendere la memoria di Don Peppe Diana è una questione personale anche per un

´altra ragione: è una questione di onore. Onore è una parola che spesso hanno abusivamente

monopolizzato le cosche facendola diventare sinonimo del loro codice mafioso. Ma è il tempo di

sottrarla alle loro grammatiche. Onore è il sentire violata la propria dignità umana dinanzi a un

´ingiustizia grave, è il seguire dei comportamenti indipendentemente dai vantaggi e dagli svantaggi,

è agire per difendere ciò che merita di essere difeso. E io l´onore, l´ho imparato qui a Sud. Per

meglio spiegarmi, mi sovvengono le parole di Faulkner: «Tu non puoi capirlo dovresti esserci nato.

In realtà essere del Sud è una cosa complessa. Comporta un´eredità di grandezza e di miseria, di

conflitti interiori e di fatalità, è un privilegio e una maledizione. Vi è il senso aristocratico dell

´onore e dell´orgoglio». Mi piacerebbe poter mettere una parola definitiva su questo. Su quanto

accaduto a don Peppe. Permettere di farlo riposare in pace. Riposare in pace significa non chiamarlo

in causa laddove non può difendersi. A volte, come accade a molti miei compaesani per cui

conserva il suo valore, mi viene di rivolgermi a lui. Don Peppe se è vero che tu hai visto la fine

della guerra, perché, come dice Platone, solo i morti hanno visto la fine della guerra, sta a noi vivi il

compito di continuare a combatterla. E non ci daremo pace.

Roberto Saviano       la Repubblica  1 agosto 2009