L'Italia, la cattiva politica e la questione morale
Esiste in
Italia una questione morale che comporta la cattiva qualità della politica, ma
anche l´inquinamento di falde più sotterranee, di livelli più radicali della
vita associata.
E´ una crisi morale, che investe la politica in generale. La politica
moderna è attraversata da due tendenze, divergenti ma concomitanti e
ineliminabili: la trasparenza (che implica il principio di legalità) e la
rappresentazione (che produce identità collettiva). La prima tendenza
serve a regolare e a neutralizzare la potenza di interessi particolari, e a
impedire l´abuso del potere pubblico: la legalità costituisce uno spazio
smaterializzato dove i privati devono comportarsi secondo logiche uguali per
tutti, e in cui l´operato delle pubbliche autorità è sempre riconoscibile e
verificabile, come azione rivolta all´universale e non al particolare. La
trasparenza è un dover essere, è l´ideale di una vita collettiva limpida – un
cristallo non inquinato da alcuna opacità, che può essere attraversato dallo
sguardo di tutti senza che vi si incontrino ostacoli e segreti –, in cui è
bandita la legge della giungla, e vige la legge civile.
La seconda tendenza, invece, è la produzione di qualcosa che deve essere visto
da tutti: una scena pubblica, in cui viene rappresentata e narrata la storia di
un´identità collettiva molteplice. Si tratta tanto delle varie forme di
ritualità civile che danno origine a un Noi civile, quanto della vita politica
di un popolo che si fa riconoscibile e individuabile in istituzioni stabili e
durature: le istituzioni rappresentative, appunto. E´ tipico della democrazia
moderna che questo elemento di visibilità della politica non cali dall´alto sui
cittadini, ma che questi lo costruiscano con libere elezioni e vi si possano
rapportare in termini critici e dialettici: che abbiano cioè il diritto di
interrogarsi su ciò che è rappresentato, e di interrogare i propri
rappresentanti. Che a loro volta devono essere responsabili, cioè devono
rispondere alle domande.
Questo sistema di doveri e di diritti si è affermato faticosamente nella lotta
illuministica contro gli arcana imperii, la teoria della necessaria opacità del
potere; ed è sfidato da quanti sostengono che in politica non esiste normalità
che non sia esposta all´eccezione, né legalità che possa prescindere dalla
discrezionalità del potere; o da chi ritiene che la rappresentanza sia soltanto
una autorappresentazione unilaterale del potere. Anche se alcune di queste
obiezioni possono far dubitare che la democrazia sia più un ideale che una
realtà, è un ideale, in ogni caso, dal quale non si può prescindere.
Ma oggi, nel nostro
Paese, quelle due tendenze centrali della politica democratica moderna non sono
sfidate da critiche profonde, da interrogativi filosofici radicali. In
Italia la legalità è sempre più debole solo perché è sistematicamente elusa e
violata, perché è sempre meno voluta, sempre più apertamente rifiutata.
Perché – a partire da alcuni dei piani alti della politica – è maggioritario il
messaggio cinico del free rider, del libero battitore, di chi vuole massimizzare
il proprio interesse privato senza rispettare le regole, di chi satura con il
proprio ‘particolare´ la scena pubblica. E´ questa la questione morale,
che è la radice della questione legale: un numero sempre maggiore di cittadini è
convinto che non esista un dovere del singolo – dell´uomo di potere prima degli
altri – a comportarsi in modo regolato verso la collettività.
La tendenza alla rappresentazione, poi, è distorta nel nostro Paese da una
politica di fonte governativa – resa possibile dal controllo quasi totale dei
media – di illusionismo se non di manipolazione, la cui finalità sembra essere
la produzione di una fiction, di un discorso pubblico ufficiale con il quale i
cittadini non hanno un rapporto attivo e critico, ma solo passivo. E´ qui la
radice della menzogna politica che – come scrisse Hannah Arendt quando si scoprì
il modo con cui il potere americano aveva mentito al popolo per giustificare la
guerra in Vietnam – non è solo dire bugie oggettive ma è costruire, attraverso
il potere, un mondo fittizio, in cui i cittadini non possono esercitare il
diritto di fare domande, di avere risposte. Non c´è bisogno che questo discorso
assuma le modalità spietate dei totalitarismi novecenteschi (chi non ricorda
1984 di Orwell?): la menzogna può anche consistere nell´elargire
unilateralmente un edificante mondo di favola a platee di cittadini ridotti a
spettatori; e può anche consistere nel non rispondere alle domande.
Perché in politica il contrario della menzogna, la Verità, non è un dato
naturale e incontrovertibile evidente alla ragione, ma è la libera dialettica,
il confronto critico senza riserve.
La ripresa della democrazia italiana dalla sua malattia richiede che finisca il
cinismo di massa indotto dall´alto, e che si ricominci a parlare della pubblica
legalità in termini di inderogabile ‘dover essere´ (appunto, in termini di
moralità politica); e esige una nuova irruzione del diritto di critica – e
del dovere di rispondere – in uno spazio civile pieno di accomodanti
rappresentazioni e di assordanti silenzi. Impresa difficile, ma non disperata: è
noto che i popoli non si lasciano ingannare per sempre.
Carlo Galli la Repubblica 20-07-2009