Sono venute a galla, finalmente, due questioni che
riguardano, l´una, la verità e, l´altra, la moralità nella vita pubblica.
Sono questioni che oggi particolarmente toccano un uomo alle prese con
l´affannosa gestione davanti alla pubblica opinione di uno sdoppiamento, tra la
realtà di ciò che effettivamente egli è e fa e la rappresentazione fittizia che
ne dà, a uso del suo pubblico. Siamo di fronte a una novità? Possiamo credere
sia un caso isolato? Via! La menzogna e l´ipocrisia, alla fine la
schizofrenia, sono sempre state compagne del potere.
Questa constatazione realistica può chiudere il discorso solo per i nichilisti,
i quali pensano a un eterno nudo potere, che volta a volta, si presenta in forme
esteriori diverse, ma sempre e solo per coprire la sua immutabile, disgustosa,
realtà. Per gli altri, quelli che credono che il potere non necessariamente sia
sempre solo quella cosa lì, ma che si possa agire, oltre che per conquistarlo,
anche per cambiarlo; per quelli, in breve, che credono che vi siano diversi
possibili modi di concepire e gestire le relazioni politiche, verità e menzogna,
moralità e ipocrisia sono dilemmi su cui si può e si deve prendere posizione.
Vizi e virtù cambiano, anzi si scambiano le vesti, a seconda
di quali siano le concezioni del vivere comune. I vizi possono diventare virtù e
le virtù, vizi. Onde possiamo dire che da come li si concepisce capiamo che idea
abbiamo della nostra convivenza. C´è qui una spia che permette di guardare nello
strato profondo, magari inconscio, delle nostre concezioni politiche. Nelle
Istorie fiorentine (III, 13), Machiavelli dice che i mezzi del potere sono
“frode e forza” e che “quelli che per poca prudenza o per troppa sciocchezza,
fuggono questi modi, nella servitù sempre e nella povertà affogano; perché i
fedeli servi sempre sono servi, e gli uomini buoni sempre sono poveri; né mai
escono di servitù se non gli infedeli e audaci, e di povertà se non i rapaci e
fraudolenti”. Buone massime di comportamento, ma per il Principe in società di
servi e padroni: qui davvero le virtù diventano vizi e i vizi, virtù.
La verità, il rispetto dei “bruti fatti”, è la virtù di coloro che si
intendono e vogliono intendersi tra loro; al contrario, quando il
proposito non è l´intesa ma la sopraffazione, la virtù non è più la verità ma è
la menzogna, la simulazione di quel che è e la dissimulazione di quel che non è.
La verità predispone al dialogo in cui ciascuno onestamente fa valere i propri
punti di vista; la menzogna prepara inganni e, in risposta, giustifica altre
simulazioni e dissimulazioni (Torquato Accetto, Della dissimulazione onesta –
1641), come arma di legittima difesa. Ne vengono società di maschere,
mascheramenti e mascherate che nascondono violenza, come erano le società di
cortigiani, venefici e tradimenti del 5 e ´600 in cui l´elogio della malafede
dei governanti ha trovato il suo terreno di coltura.
Gesù di Nazareth impartisce ai discepoli due comandamenti, all´apparenza
contraddittori: «Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal
maligno» (Mt 5, 36) e «siate avveduti (phronimòi) come serpenti» (Mt 10,
16). Da un lato, dunque, rispecchiare la verità, né più né meno; dall´altro,
usare la lingua biforcuta del “più astuto tra tutti gli animali” (Gn 3, 1). Come
si scioglie la contraddizione? In un modo molto interessante per la nostra
questione. Il primo comandamento vale nei rapporti tra leali appartenenti
alla stessa cerchia, in quel caso i credenti nella medesima parola di Dio
(”avete inteso che fu detto …, ma io vi dico”). Il secondo vale quando le pecore
(i discepoli) sono inviati in mezzo ai lupi, gli uomini dai quali devono
“guardarsi” con accortezza.
Ecco, dunque. La verità vale tra amici; tra nemici è dissennatezza. Se riteniamo
di non essere vincolati alla mutua obbligazione al vero, se riteniamo legittima
la frode, la menzogna, l´inganno è perché viviamo nell´ostilità e i regimi
dell´ostilità sono quelli inclini alla sopraffazione. Noi comprendiamo perciò lo
scandalo che, purtroppo in altri Paesi e non nel nostro, dà l´uomo pubblico che
è scoperto avere mentito, per questo solo fatto, magari su una questioncella da
niente: uno scandalo non di natura morale o moralistica ma politico, che può
portare alla rovina d´una carriera. Chi mente, non importa su che cosa, è un
pericolo per la libertà e la democrazia. Oggi, da noi, si moltiplicano
assennati appelli alla concordia e al dialogo, ma senza il parallelo, anzi
preliminare, appello alla chiarezza della verità, sono parole destinate al
vento.
* * *
Anche la questione della moralità conduce a un problema politico di democrazia.
Si dice: il giudizio morale non deve influire sul giudizio politico. La politica
si giudica con criteri politici; la moralità, con criteri morali. Un ottimo uomo
pubblico può essere un pessimo individuo nel privato, col quale non si vorrebbe
avere nulla da spartire. O viceversa: una persona dabbene può essere un pessimo
politico, cui non vorremmo affidate responsabilità pubbliche. Gli ambiti sono
diversi e devono essere tenuti separati. Lo Stato moderno è il prodotto della
scissione dell´ufficio pubblico dalla persona fisica che lo ricopre. Il
funzionario è, come tale, soggetto a particolari e stringenti doveri di moralità
pubblica, della cui osservanza risponde pubblicamente. Ma la stessa persona, nel
momento in cui è spogliato della sua funzione ritorna a essere uno come tutti,
ha il diritto di essere lasciato in pace come un qualunque altro cittadino. La
sua moralità è in questione solo di fronte alla sua coscienza, a Dio o al
confessore.
Tutto questo è chiaro ma troppo semplice. I punti di interferenza sono numerosi,
in un senso e nell´altro. Quando c´è interferenza, non si può negare l´esigenza
di verità. Può accadere che la posizione pubblica sia spesa nella vita
privata, oppure che i comportamenti privati si riverberino sulla posizione
pubblica. Talora queste commistioni hanno rilievo per il codice penale.
Ma molto spesso no. Non per questo non hanno rilievo politico. Esempio del primo
tipo: la strumentalizzazione del “fascino del potere” per ottenere vantaggi
nella vita privata. I favori sessuali attengono certamente alla vita privata. Ma
altrettanto certamente ciò non basta a escludere il diritto dell´opinione
pubblica di sapere se questi si ottengono facendo balenare o distribuendo
favori, come solo chi occupa posizioni di pubblico potere può fare. Oppure,
esempio del secondo tipo, lo stile di vita personale attiene certamente
all´ambito privato che chiunque ha il diritto di definire come vuole. Ma se
questo stile di vita contraddice i valori sociali e politici che si professano
pubblicamente e si vogliono imporre agli altri, possiamo dire che questa
ipocrisia sia irrilevante per un giudizio politico da parte dell´opinione
pubblica?
Non è affatto questione di moralismo. Nessuno, meno che mai quella cosa che si
denomina opinione pubblica, ha diritto di pronunciare sentenze morali,
condannare peccati e peccatori. Chi mai gradirebbe un giudizio di questo genere
sulle piazze o sui giornali? Non è questo il punto. Il punto è che in
democrazia i cittadini hanno diritto di conoscere chi sono i propri
rappresentanti, perché questi, senza che nessuno li obblighi, chiedono ai primi
un voto e instaurano con loro un rapporto che vuol essere di fiducia.
Devono poterli conoscere sotto tutti i profili rilevanti in questo rapporto.
Ora, entrambe le interferenze tra pubblico e privato di cui si è detto
convergono nel creare divisioni castali in cui la disponibilità del potere crea
disuguaglianze, privilegi e immunità, perfino codici morali diversi, che
discriminano chi sta su da chi sta giù. E questo non ha a che vedere con la
democrazia? Non deve entrare nel dibattito pubblico? Così siamo ritornati al
punto di partenza, il rapporto verità menzogna. Che questa immoralità tema la
verità è naturale ed evidente. Anzi, proprio il rifiuto ostinato di renderla
disponibile a tutti in un pubblico dibattito, motivato dalle temute
ripercussioni sul rapporto di fiducia tra l´eletto e gli elettori, è la riprova
che questa è materia di etica politica, non (solo) di moralità privata; è
questione che tocca tutti, non (solo) famigliari, famigli, amici, clienti.
Gustavo Zagrebelsky La Repubblica 17 luglio 2009