Un’enciclica che entra nel concreto

Che cosa può offrire oggi la Chiesa al Mondo? I credenti rispondono: la salvezza. Ma ciò comporta
che la Chiesa legga la realtà storica, i segni del tempi: individui problemi, pericoli, drammi e
speranze, giudicandoli “dalla parte di Dio”.
Perciò l’enciclica Caritas in Veritate è stata la parola meglio accolta di Benedetto XVI. Sì, forse non
ha convinto tutti il rovesciamento dell’espressione di san Paolo che esorta a fare (scoprire, vivere) la
verità nella carità. È sembrato che al primato della carità il papa abbia sovrapposto un primato della
verità.
Ma, insomma, l’enciclica ha offerto la lettura del mondo d’oggi; e sulla linea della Pacem in
terris
e della Populorum progressio ha espresso un giudizio alto e severo: questo mondo è pieno di
ingiustizie e di dolore, troppi uomini vivono in condizioni inaccettabili, troppa violenza, troppo
egoismo… il modello di sviluppo “consumista” non è sostenibile né giusto. E accanto alla denuncia,
ecco la proposta: bisogna dare un’anima alla tecnica, alle scienze, all’economia, alla politica.

Servono uomini che vivano la carità nella verità, «c’è bisogno di cristiani con le braccia alzate verso
Dio». Certo si poteva sottolineare che non solo i cristiani amano Dio; e che non solo i credenti
possono avere a cuore le sorti dell’uomo.
La storia lo dimostra. Ma il papa si rivolge ai cristiani
forse perché sa bene che essi hanno grandi responsabilità nel cattivo modello di sviluppo e nel
devastante primato della violenza, dell’egoismo e della menzogna che domina il mondo, a
cominciare dall’«occidente cristiano e consumista».
E infatti il papa entra nel concreto e ricorda che
«acquistare è anche un atto morale, oltre che economico.
C’è dunque una precisa responsabilità sociale del consumatore» (“L’etica degli acquisti, l’enciclica
papale e la morale del web”, di Giampaolo Fabris, Repubblica 13 luglio)
.

Qui nasce la domanda: e la chiesa italiana non potrebbe fare qualcosa di più per leggere e valutare
la situazione del nostro paese, i modelli di comportamento, i valori prevalenti, gli stili di vita, i
meccanismi di ingiustizia e di emarginazione? Non dovrebbe fare un esame di coscienza ed
esprimere un giudizio profetico, coraggioso?
Nella sua intervista sulle minoranze, “La vocazione
minoritaria”, Goffredo Fofi dice cose drammatiche, che in larga misura dovrebbero essere condivise
dai credenti.
Anzi: inquietarli e spingerli ad agire. Finora è prevalsa la preoccupazione di non disturbare il
manovratore,
ma finalmente qualche vescovo, settimanale diocesano e associazione comincia a
porsi il problema di “dove va l’Italia”. Servirebbe un soprassalto di dignità e anche di dialogo e
partecipazione nelle nostre chiese, per dire assieme qualcosa di utile e costruttivo. Anzi, ricostruttivo.

Angelo Bertani     Europa 17 luglio 2009

 

 

 

Enciclica senza eco

È passata poco più di una settimana da quando Benedetto XVI ha pubblicato la sua enciclica
sociale, Caritas in veritate, e l'indifferenza è quasi generale. Salvo sulla stampa cristiana, che si è
fatta anello di trasmissione della Chiesa cattolica (1). Sulla stampa economica sono apparsi pochi
timidi articoli. Né i sindacati, né gli imprenditori, né i politici, cristiani o no, hanno reagito. Eppure
l'enciclica era rivolta non solo ai cattolici, ma “a tutti gli uomini di buona volontà”. Voleva quindi
essere accessibile al grande pubblico. Allora, perché così scarsa eco? Occorre riflettere sia sulla
forma che sul contenuto. L'enciclica comincia con una dissertazione sulla carità e la verità, nella
quale sono affrontati i temi chiave della dottrina sociale della Chiesa, come la giustizia e il bene
comune, ma in maniera troppo astratta. Di che far scappare qualsiasi lettore alla ricerca di una
parola cristiana sul proprio tempo
. Del nostro mondo, delle nostre vite, della crisi, non si parla.
Pensiamo alla Rerum Novarum, che iniziava, nel 1891, con queste parole: “I rapporti tra padroni e
operai sono cambiati. La ricchezza è affluita tra le mani di un piccolo numero e la moltitudine è
stata lasciata nell'indigenza.” Quasi quasi arriviamo a rimpiangere Leone XIII!
Sul contenuto, ci si sarebbe aspettati un punto di vista più radicale. Per la questione centrale del
profitto, il papa scrive: “Il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca
un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo.” Sulla base di una formula così vaga,
qualsiasi azionista dirà “benché beneficiario, licenzio per ottenere del profitto, che è necessario per
riinvestire e creare ricchezza”. Un discorso di fronte al quale l'enciclica di Benedetto XVI fa
l'effetto di una palla di schiuma su un carro d'assalto.
Il sistema attuale è smontato e denunciato in
maniera troppa vaga. Tutti possono ritrovarcisi, sia i sindacati che la confindustria. Ed è così che si
uccide il dibattito. In compenso Benedetto XVI ritorna ai suoi temi prediletti, il relativismo
culturale e la legge naturale. Cosa c'entra la condanna della contraccezione in una enciclica sociale?
Mentre non c'è nessuna critica dei licenziamenti dovuti alla borsa. E quando si legge in conclusione
che “l'umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano”, ci si dice che forse si poteva trovar
di meglio per rivolgersi “a tutti gli uomini di buona volontà”.


(1) notiamo a questo proposito la prima pagina per lo meno entusiasta di La Vie: “Benedetto
XVI rifà il mondo”

Luc Chatel    in “Témoignage chrétien” n° 3357 del 16 luglio 2009