Ma la società civile ha scommesso su Berlusconi

Lo spettacolo poco edificante della preparazione delle Primarie del Pd è l’altra faccia della profonda
depressione in cui è precipitata la società civile italiana.
E’ ad essa infatti che vorrebbero rivolgersi
gli esponenti del partito democratico per rappresentarla, ritrovarla, reinventarla. Si è fatto vivo
anche Beppe Grillo, grottesca espressione di una società civile urlante.
Ma è un’impresa disperata: la società civile italiana è afona, disillusa, disorientata, incattivita.
Soprattutto è divisa in pezzi e settori che tengono d’occhio esclusivamente i loro propri immediati
(legittimi) interessi materiali o ideali.
Su di essa governa il berlusconismo, che mira a tenere assieme tanti singoli interessi. Non si vede
nessun grande disegno.
Anzi la crisi sta impietosamente mostrando i limiti intrinseci della politica.
Si ingigantiscono così i problemi particolari e i loro protagonisti: i leghisti con le campagne antiimmigrati
e i clericali preoccupati di blindare una cattiva legge sul testamento biologico. La
politica, diventata sommatoria degli interessi più disparati, è facilitata dall’impotenza
dell’opposizione politica.
In compenso Berlusconi è riuscito ad indirizzare contro la sinistra
l’ostilità, l’incattivimento diffuso nella società.

In questo contesto è vano continuare a evocare una idealizzata «società civile», come faceva un
anno fa l’allora leader del Pd Walter Veltroni, al Circo Massimo di Roma, con l’intento di
mobilitarla contro il berlusconismo. E’ successo l’opposto. Il berlusconismo ha vinto le elezioni
amministrative grazie ai pezzi di società civile i cui interessi di volta in volta particolari riesce a
soddisfare o promette di soddisfare.

Quanto alle sue vicende personali, Berlusconi è sopravvissuto ad una situazione, che in qualunque
paese occidentale avrebbe messo alle corde qualunque politico, grazie alla tolleranza di buona parte
della «società civile», perfettamente interpretata dalla cautela dei clericali.

E’ dunque vero che «gli italiani sono fatti così» - come si sente ripetere all’estero che riduce la
nostra identità storico-culturale ad una inconsistente (im)moralità pubblica?

Di fatto nel caso Berlusconi si è assistito ad un calcolo politico preciso. Chi ha scommesso sui
benefici che può ottenere dal berlusconismo - benefici che non ha ancora raccolto sino in fondo -
non è disposto a metterli a rischio politicamente ora, a causa di veri o presunti indecenti
comportamenti del leader.
Naturalmente nel frattempo si sono mostrate le contraddizioni di un tratto tipico del berlusconismo
originario: la disinvolta e permissiva commistione di pubblico e privato, l’allegra trasgressione delle
regole che aveva esercitato un suo fascino su settori rampanti della società civile.
Ma ad un certo punto Berlusconi ha sbagliato misura. Ha commesso una serie di errori che -
fortunatamente per lui - i suoi alleati si sono affrettati a minimizzare. Ma lo hanno fatto e
continuano a farlo esclusivamente nel loro interesse. In questo modo ritengono di poter controllare
in qualche misura il Cavaliere. O addirittura di farsene grande debitore. Infatti come potrebbe
governare senza il sostegno dei leghisti o dei cattolici clericali?

Ma è evidente che Berlusconi recalcitra davanti a questa prospettiva. «Adesso tutti sanno chi
comanda» - avrebbe detto all’indomani del successo (di immagine e di ospitalità) del G8, contando
sulla risonanza mediatica delle sue parole. Staremo a vedere.
Qui torna in gioco la «società civile» depressa, disillusa, frammentata di cui stiamo parlando. Il
berlusconismo con i suoi tratti di populismo democratico ha riempito il vuoto che si era prodotto
con la crisi dei vecchi sistemi di rappresentanza partitica. Il leader populista, mediatico, crea
l’immediatezza della rappresentanza, del rapporto diretto con la gente.

Ma questa situazione regge quando è onorata con l’effettiva capacità decisionale. Ed è evidente che
la «politica del fare» ordinario di cui parla sempre il Cavaliere ha toccato i suoi limiti. La prossima
mossa sarà la riforma o la forzatura istituzionale in direzione del rafforzamento dell’esecutivo.
A questo proposito non è un mistero che l’idea di competenze decisionali più forti per il governo è
sempre più popolare in Italia. Su questo sentimento Berlusconi giocherà la sua carta più
impegnativa, scontrandosi con la netta opposizione della sinistra e dei moderati di centro.
Ma il gioco sarà a tre: Berlusconi, l’opposizione e ciò che resta della società civile.
E’ importante che il Partito democratico si prepari a discutere apertamente e in modo competente
questa problematica - evitando sia di affidarsi ai soli professionisti dei sistemi costituzionali sia ai
comprensibili allarmi di possibili scivolamenti autoritari, che da noi sono immediatamente associati
all’esperienza storica del fascismo. Discutere, argomentare seriamente e serenamente su riforme
costituzionali tenendo presenti i modelli e le esperienze degli ultimi decenni in Europa. E’ una sfida
importante in grado di risvegliare e rianimare su temi politici forti anche la società civile.

Gian Enrico Rusconi     La Stampa 16 luglio 2009