L’ultima trama di Sindona
L´11 luglio di 30 anni fa un killer sparò ad Ambrosoli Il libro del giudice
dell´inchiesta Turone (scritto con Simoni) ricostruisce quegli anni
Il bancarottiere si uccise: voleva che fosse una morte strana per offuscare la
memoria del commissario liquidatore
Potrebbe apparire una storia d´altri tempi l´avventura tra politica, Vaticano e
mafia di Michele Sindona, il bancarottiere siciliano morto oltre vent´anni fa
per un caffè al cianuro. E´ un grande romanzo criminale quello appena licenziato
non da giallisti esperti, come si potrebbe ricavare dal passo narrativo, ma dai
due magistrati che indagarono meticolosamente i crimini nazionali e
internazionali di un finanziere-assassino dotato di un inusuale talento
istrionico, nella vita come nella morte. Giuliano Turone era il giudice
istruttore che condusse con Gherardo Colombo l´inchiesta giudiziaria sull´omicidio
di Ambrosoli, ucciso da un killer americano assoldato da Sindona. Gianni
Simoni era il magistrato che investigò sulla misteriosa morte del detenuto
eccellente nel carcere di Voghera. Insieme hanno scritto un libro di duecento
pagine che sulla base di innumerevoli atti giudiziari, sparsi in altrettanti
processi, ricostruisce esemplarmente un pezzo di storia italiana fondata
sull´intreccio tra potere politico, potere finanziario e potere criminale
(Il caffè di Sindona, Garzanti, euro 16). Intrighi di un´Italia
scomparsa? «Non del tutto», risponde Turone. «E´ di pochi giorni fa l´intervento
del procuratore generale della Corte dei Conti sulla larga diffusione della
corruzione in Italia. Siamo tra i primi in Europa per trame oscure e
strapotere di mafie e camorre. Sembra difficile raddrizzare certe storiche
storture nazionali. Da quelle vicende sono trascorsi molti anni, ma siamo ancora
in mezzo al guado».
L´urgenza civile che muove il racconto è anche quella di onorare la memoria di
Giorgio Ambrosoli, il commissario liquidatore della Banca Privata Italiana,
assassinato l´11 luglio di trent´anni fa su ordine di Sindona. Il risarcimento
dell´«eroe borghese» - dal titolo del bellissimo libro di Corrado Stajano -
passa anche attraverso la soluzione di un enigma rimasto irrisolto nell´opinione
pubblica, ma non nelle (poco conosciute) carte processuali. Il mistero riguarda
il cianuro inghiottito dal bancarottiere nel carcere di Voghera. Omicidio o
suicidio? Se nell´immaginario comune è radicata la tesi più spettacolare
dell´assassinio, i due magistrati non hanno dubbi sull´uscita di scena
volontaria: si trattò dell´ultima straordinaria beffa di Sindona, simulatore
beffardo e talentuoso, che scelse di ingoiare il veleno, ma mettendo in scena un
omicidio del tutto verosimile. L´ultima sceneggiata di un criminale fantasioso,
«autentico Fregoli dei trasformismi malandrineschi», che morendo da vittima di
poteri oscuri voleva dare nuova dignità a sé e alla sua famiglia, intossicando
il lavoro di chi si era adoperato per scoprire i suoi delitti. «Nel progetto
freddamente coltivato da Sindona», dice Turone, «il suo omicidio, destinato a
rimanere senza responsabili, avrebbe fatalmente indebolito le diverse inchieste
condotte su di lui. Ma come, avete scoperto tutte le sue malefatte e non sapete
chi l´ha ucciso? Anche il coraggioso lavoro di Ambrosoli rischiava di essere
offuscato da quest´ultima beffa».
I capitoli
più avvincenti riguardano la romanzesca uscita di scena di Sindona, ricostruita
nelle motivazioni più profonde - l´ossessione per la morte di un ex potente
abbandonato da tutti - e nei dettagli più inaspettati, dalle bustine di zucchero
fatte sparire dal suicida alla sorveglianza blindata ad opera di giovani agenti
di Monastir. A sostegno del suicidio, la prova più convincente consiste nella
particolare qualità del cianuro, sostanza dotata di un odore e un sapore così
ripugnanti da indurre qualsiasi persona a fermarsi disgustata al primo sorso di
caffè (ricordiamo che Sindona bevve il caffè chiuso in gabinetto, senza
lasciarne neppure una goccia nel bicchiere). Per gli appassionati del genere «caffè
al veleno», va aggiunto che Pisciotta fu assassinato con la stricnina, che ha
altre caratteristiche. Come Sindona si procurò il cianuro? Non gli era difficile
- sostengono i magistrati - riceverne una dose nel corso delle udienze che lo
videro incriminato per il delitto Ambrosoli. Il suo biografo tedesco Nick
Tosches ha raccontato che al termine del loro primo incontro, nella cella di
Voghera, gli aveva domandato "quale vago raggio di speranza lo sostenesse". E
lui, col sorriso luciferino: «Morire».
Ma le pagine più impressionanti investono direttamente la storia d´Italia,
i suoi palazzi del potere, gli intrecci tra la politica, la finanza, i poteri
criminali, il Vaticano. Sindona era un finanziere potentissimo, uomo di
fiducia dello Ior, celebrato nel 1973 da Giulio Andreotti come il «salvatore
della lira». La trama dei loro rapporti è documentata da una fitta mole di carte
giudiziarie, oltre che da atti politici e nomine di banchieri - come quella di
Mario Barone al Banco di Roma - che negli anni Settanta tentarono di favorire i
traffici di Sindona. Nel prosieguo della lettura, ci si imbatte in trame
occulte, ricatti, mascalzonate - non ultima l´incriminazione di Mario Sarcinelli
e Paolo Baffi - tutti rigorosamente certificati nelle note a piè di pagine. Tra
i protagonisti figura anche Licio Gelli, il capo di quella loggia P2 di cui
Sindona insieme a molti altri era un affiliato. Fu indagando sulla morte di
Ambrosoli che i magistrati Giuliano Turone e Gherardo Colombo scoprirono il 17
marzo del 1981 gli elenchi della loggia segreta e successivamente il piano
di Rinascita nazionale. Quello stesso piano di Rinascita nazionale
recentemente rivendicato con orgoglio da Gelli, risuscitato in una televisione
locale. «Peccato non averlo depositato alla Siae per i diritti», ha detto Gelli
in conferenza stampa. «Tutti ne hanno preso spunto. L´unico che può andare
avanti è Silvio Berlusconi, non perché era iscritto alla P2, ma perché ha la
tempra del grande uomo». Che sentimenti prova oggi l´ex magistrato Turone di
fronte a questa Italia? «Una grande malinconia», dice sottovoce. «Si
prende atto con amarezza che i tentativi che sono stati fatti per combattere le
mafie, tutte le mafie, sono per larga parte falliti. Cosa proverebbe oggi uno
come Giorgio Ambrosoli davanti allo spettacolo della finanza corrotta? In Italia
manca una religione civile, capace di legare responsabilmente l´individuo alla
società».
Al pari di altri suoi colleghi autorevoli, Giuliano Turone ha lasciato la
magistratura prima del tempo. Oggi si dedica agli studi giuridici e al teatro.
Gli piace recitare soprattutto Shakesperare e Kafka.
Simonetta Fiori Repubblica 11.7.09