La «solita
liturgia» agita il Vaticano
Strette tra la legge anti-immigrati di Maroni e il Vangelo -"ero forestiero e
mi avete ospitato" - le
gerarchie provano a conciliare le prudenze istituzionali con le proteste di
larga parte del mondo
cattolico che reagisce con allarme e sdegno all'approvazione della legge sulla
sicurezza. Il governo
Berlusconi certo non aiuta i prelati nell'impresa della moderazione. Secondo un
metodo collaudato
da mesi - almeno dalla vicenda dei finanziamenti alla scuola privata e dal caso
Englaro - il ministro
degli interni ha liquidato, infatti, con una battuta sprezzante le critiche
giunte da Oltretevere, con
tutta l'aria di chi sa o comunque spera di poter contare sulla benevolenza di
altri cardinali e vescovi,
finora molto preoccupati di non mettere a repentaglio promesse e impegni
governativi favorevoli
alla Chiesa. E così agli attacchi anche violenti giunti ieri dall'esecutivo (con
Roberto Maroni che
definisce «solita liturgia» i giudizi di monsignor Agostino Marchetto - «Norme
che aggiungeranno
altra sofferenza» -), la Santa Sede e la Conferenza Episcopale Italiana provano
per quanto possibile
a smorzare i toni per evitare lo scontro con un governo considerato, malgrado
tutto, vicino - nei fatti
pubblici, se non nei comportamenti privati - alle esigenze cattoliche ma
in ultima analisi non
possono non riaffermare il principio evangelico dell'accoglienza.
È questo il caso, ad esempio, della "smentita" che dalla Sala Stampa vaticana è
arrivata ieri alle
parole di monsignor Marchetto: pressato come da copione dalle domande dei
giornalisti, il
portavoce vaticano padre Federico Lombardi ha risposto, come era scontato, che
alla legge sulla
sicurezza non ci sono state critiche «che si debbano qualificare come critiche
del Vaticano». Ieri,
infatti, erano stati il presidente del Pontificio consiglio per la pastorale dei
migranti, monsignor
Antonio Maria Vegliò, e – appunto - il suo vice monsignor Marchetto, a prendere
posizione sulla
necessaria accoglienza dei migranti e contro la loro criminalizzazione, come
affermato dalla
dottrina della Chiesa. In altre parole erano stati i "ministri" competenti. La
Segreteria di Stato
vaticana, ovvero l'organo preposto ai rapporti con gli Stati, aveva invece
scelto - come di consueto –
di non commentare. Non è la prima volta. A queste prese di distanza,
specialmente monsignor
Marchetto è abituato, e di fronte alle parole di Lombardi non si scompone
affatto. Anzi, rilancia.
«Un arcivescovo – replica –, quando pensa di aver fatto il suo dovere, non si
ferma a raccogliere le
pietre che gli buttano dietro».
La questione, però, è naturalmente molto più complessa della semplice vicenda
personale del
loquace monsignore e della sua attendibilità come "portavoce" degli umori della
Chiesa. Il mondo
cattolico, infatti, soprattutto quello che vive "in prima linea" i problemi
dell'immigrazione,
dell'accoglienza, dell'integrazione è in subbuglio, e la gerarchia non può
ignorarlo, soprattutto dopo
che Avvenire, il quotidiano dei vescovi, accoglie il pacchetto con un blando
editoriale e "glissando"
completamente sulle prese di posizione di Marchetto e Vegliò.
Caritas, Acli, Comitato italiano rifugiati, Cisl, Focsiv, don Ciotti avevano già
commentato "a caldo"
la nuova legge. Ieri si sono aggiunti gli intellettuali e i lavoratori
dell'Azione Cattolica, i salesiani, il
movimento Pax Christi, tutti con critiche pesanti all'impianto e allo spirito
della norma voluta dal
governo. Ascoltato questo profluvio di commenti, la Cei stessa non può tacere e
- dopo un'anodina
dichiarazione resa all'agenzia Ansa nella serata di giovedì - decide di tornare
più ampiamente sul
pacchetto sicurezza. Il portavoce dei vescovi, don Domenico Pompili, adotta toni
quanto più
prudenti possibile ma non può non rifarsi alla posizione adottata dall'assemblea
generale dei vescovi
dello scorso maggio. Di fronte al fenomeno "complesso" dell'immigrazione,
dichiara all'agenzia
della Cei, Sir, è «evidente che una risposta dettata dalle sole esigenze di
ordine pubblico - che è
comunque necessario a garantire in un corretto rapporto tra diritti e doveri -
risulta insufficiente».
Per la Cei, prosegue, sembrano «irrinunciabili due azioni convergenti: la
prima consiste
nell'impedire che i figli di Paesi poveri siano costretti ad abbandonare la loro
terra, a costo di
pericoli gravissimi, pur di trovare una speranza di vita. Tale problema esige di
riprendere e
incrementare le politiche di aiuto verso i Paesi maggiormente svantaggiati».
La seconda «sta nel
favorire l'effettiva integrazione di quanti giungono dall'estero, evitando il
formarsi di gruppi chiusi e
preparando "patti di cittadinanza" che definiscano i rapporti e trasformino
questa drammatica
emergenza in un'opportunità per tutti. Ciò è possibile se si tiene conto della
tradizionale
disponibilità degli italiani - memori del loro passato di emigranti - ad
accogliere l'altro e a integrarlo
nel tessuto sociale».
Sono le parole testuali usate dal cardinale Angelo Bagnasco in apertura della
recente assemblea dei
vescovi. Lo schema è classico: la solidarietà deve procedere di pari passo
con la sicurezza. Certe
volte l'accento della Chiesa si pone sul primo termine del binomio, altre invece
sul secondo. Ma
forse non tutti al vertice della Cei temono, tanto quanto le associazioni
cattoliche, il diffondersi del
razzismo in Italia.
Alessandro Speciale Liberazione 4 luglio 2009