Perché san Paolo è
san Paolo
Lo sapevano da più di un anno e mezzo, ma giustamente gli studiosi hanno
mantenuto il segreto in
modo che fosse il Papa in persona a rivelare al mondo la clamorosa scoperta:
nella tomba di San
Paolo ci sono i resti di San Paolo.
La notizia ha creato un’ondata di grande fermento nelle redazioni di tutti i
giornali italiani, che
hanno sottolineato la «profonda emozione» del pontefice. Piuttosto, la
notizia è stata al solito
ignorata dalla stampa degli altri paesi di religione cattolica. Nessuna traccia
sui siti di Le Monde e
di El Pais. Per l’esattezza, una piccola sonda esplorativa è penetrata
nel sepolcro e ha prelevato un
campioncino che è stato esaminato in un laboratorio «agnostico». La scienza ha
quindi dato il suo
verdetto: sono i resti di una persona vissuta fra il primo e il secondo secolo
dopo Cristo. Le prime
pagine avrebbero dovuto quindi correttamente titolare: nella tomba di san Paolo
c’è San Paolo o
uno qualsiasi dei miliardi di esseri umani vissuti contemporaneamente a lui.
Un po’ lungo, ma di
sicuro più aderente alla verità. Eppure una notizia c’era, a ben guardare. Che
il culto delle reliquie
fosse in generale una superstizione fondata su materiali diciamo «di incerta
provenienza» è
qualcosa che chi voleva sapere già sapeva. Senza offesa per nessuno: su
e-bay esiste un commercio
incontrollato di reliquie che nella sua abbondanza suscita persino buonumore.
Sparsi nelle chiese
del mondo esistono frammenti della croce di Gesù in quantità tali da costruirci
un bastimento. E di
certi santi si conservano e venerano ben più di dieci dita. La grande novità
consiste nel fatto che ora
c’è il bollo di autenticità papale, ciò che equivale a dire: finalmente,
eccezionalmente, abbiamo
trovato una reliquia che potrebbe essere sul serio quel che da secoli facevamo
finta che fosse.
Roberto Alajmo l'Unità 1 luglio 2009