La verità che non può
dire
Berlusconi esige da noi, per principio e diritto divino, come se davvero fosse
"unto dal Signore", la passiva accettazione dei suoi discorsi.
Pretende che non ci siano repliche o rilievi alle sue parole. Reclama per sé il
monopolio di un´apparenza che si cucina in casa con i cuochi di famiglia. Senza
contraddittorio, senza una domanda, senza un´increspatura, senza la solidità dei
fatti da lui addirittura non contraddetti, senza un estraneo nei dintorni.
Vuole solo famigli e salariati. Con loro, il Cavaliere frantuma la
realtà degradata che vive. La rimonta come gli piace a mano libera e ce la
consegna pulita e illuminata bene. A noi tocca soltanto diventare spettatori –
plaudenti – della sua performance. Berlusconi ci deve immaginare così
rincitrulliti da illuderci di poter capire qualcosa di quel che accade (è
accaduto) non servendoci di ciò che sappiamo, ma credendo a ciò che egli ci
rivela dopo aver confuso e oscurato quel che già conosciamo. Quindi, via ogni
fatto accertato o da lui confessato; via le testimonianze scomode; via documenti
visivi; via i giornalisti impiccioni e ostinati che possono ricordarglieli; via
anche l´anchorman gregario e quindi preferito; via addirittura la
televisione canaglia che da una smorfia può rivelare uno stato d´animo e una
debolezza.
Berlusconi, che pare aver smarrito il suo grandioso senso di sé, si rimpannuccia
sul divano di casa affidandosi alle calde cure del direttore di Chi.
Insensibile alle contraddizioni, non si accorge dell´impudico paradosso:
censurare i presunti pettegolezzi dalle colonne di un settimanale della sua
Mondadori, specializzato in gossip. Dimentico di quanto poca fortuna gli abbia
portato il titolo di Porta a Porta (5 maggio) "Adesso parlo io" (di Veronica e
di Noemi), ci riprova. "Adesso parlo io" strilla la copertina di Chi. Il
palinsesto è unico.
In
un´atmosfera da caminetto, il premier ricompone la solita scena patinata da
fotoromanzo a cui non crede più nessuno, neppure nel suo campo. La tavolozza del
colore è sempre quella: una famiglia unita nel ricordo sempre vivo di mamma Rosa
e nell´affetto dei figli; l´amore per Veronica ferito – certo – ma impossibile
da cancellare; la foto con il nipotino; una vita irreprensibile che non impone
discolpa; l´ingenuità di un uomo generoso e accogliente che non si è accorto
della presenza accanto a lui, una notte, di una "squillo" di cui naturalmente
non ha bisogno e non ha pagato perché da macho latino conserva ancora il
"piacere della conquista".
Acconciata così la sua esistenza che il più benevolo oggi definisce al contrario
"licenziosa", chi la racconta in altro modo non può essere che un "nemico". Da
un´inimicizia brutale sono animati i giornali che, insultati ma non smentiti,
raccontano quel che accade nelle residenze del presidente. Antagonisti malevoli,
prevenuti o interessati sono quegli editori che non azzittiscono d´imperio le
loro redazioni. C´è qualcosa di luciferino (o di vagamente folle) nella
pretesa che l´opinione pubblica – pur manipolata da un´informazione servile –
s´ingozzi con questo intruglio. Dimentico di governare un Paese
occidentale, una società aperta, una democrazia (ancora) liberale, il capo del
governo pare convinto che, ripetendo con l´insistenza di un disco rotto, la
litania della sua esemplare "storia italiana" possa rianimare l´ormai esausta
passione nazionale per l´infallibilità della sua persona. È persuaso che,
mentendo, gli riesca di sollecitare ancora un odio radicale (nell´odio
ritrova le energie smarrite e il consenso dei "fanatizzati") contro chi
intravede e racconta e si interroga – nell´interesse pubblico – sui lati bui
della sua vita che ne pregiudicano la reputazione di uomo di governo e,
ampiamente, la sua affidabilità internazionale. Berlusconi sembra non voler
comprendere quanto grave – per sé e per il Paese – sia la situazione in cui si è
cacciato e ha cacciato la rispettabilità dell´Italia. Ha voluto convertire, con
un tocco magico e prepotente, le "preferite" del suo harem in titolari
della sovranità popolare trasformando il suo privato in pubblico. Non ha saputo
ancora spiegare, dopo averlo fatto con parole bugiarde, la frequentazione di
minorenni che ora passeggiano, minacciose, dinanzi al portone di Palazzo Chigi.
Ha intrattenuto rapporti allegri con un uomo che, per business, ha
trasformato le tangenti alla politica in meretricio per i politici. Il capo del
governo deve ora fronteggiare i materiali fonici raccolti nella sua stanza da
letto da una prostituta e le foto scattate da "ragazze-immagine", qualsiasi cosa
significhi, nel suo bagno privato mentre ogni giorno propone il nome nuovo di
una "squillo" che ha partecipato alle feste a Villa Certosa o a Palazzo Grazioli
(che pressione danno a Berlusconi, oggi?).
La quieta scena familiare proposta da Chi difficilmente riuscirà a
ridurre la consistenza di quel che, all´inizio di questa storia tragica, si è
intravisto e nel prosieguo si è irrobustito: la febbre di Berlusconi,
un´inclinazione psicopatologica, una sexual addiction sfogata in
"spettacolini" affollati di prostitute, minorenni, "farfalline", "tartarughine",
"bamboline" coccolate da "Papi" tra materassi extralarge nei palazzi del governo
ornati dal tricolore. Una condizione (uno scandalo) che impone di chiedere, con
la moglie, quale sia oggi lo stato di salute del presidente del Consiglio; quale
sia la sua vulnerabilità politica; quanta sia l´insicurezza degli affari di
Stato; quale sia la sua ricattabilità personale. Come possono responsabilmente,
questi "buchi", essere liquidati come affari privati?
La riduzione a privacy di questo deficit di autorità e autorevolezza non
consentirà a Berlusconi di tirarsi su dal burrone in cui è caduto da solo.
Ipotizzare un "mandato retribuito" per la "escort" che ricorda gli
incontri con il presidente a Palazzo Grazioli è una favola grottesca prima di
essere malinconica (la D´Addario è stata prima intercettata e poi convocata come
persona informata dei fatti). Evocare un "complotto" di questo giornale è
soltanto un atto di intimidazione inaccettabile.
Ripetendo sempre gli stessi passi come un automa, lo stesso ritornello come un
cantante che conosce una sola canzone, Berlusconi appare incapace di dire quelle
parole di verità che lo toglierebbero d´impaccio. Non può dirle, come è sempre
più chiaro. La sua vita, e chi ne è stato testimone, non gli consente di dirle.
È questo il macigno che oggi il capo del governo si porta sulle spalle. Non
riuscirà a liberarsene mentendo. Non sempre la menzogna è più plausibile
della realtà. Soprattutto quando un Paese desidera e si aspetta di
sentire la verità su chi (e da chi) lo governa.
Giuseppe D’Avanzo Repubblica 24.6.09