L'etica della democrazia

Che l'uomo politico non debba essere vizioso è stato a lungo affermato dalla tradizione, tanto da
quella pagana quanto da quella cristiana, attraverso una ricca trattatistica. Si imponeva al principe,
proprio perché fosse un buon politico, l'esercizio delle più comuni forme di moralità: la rettitudine,
l'onestà, la mansuetudine, la magnanimità.
Virtù umana e virtù civile del principe non dovevano
divergere: la loro sconnessione era indizio di decadenza pubblica, non solo di privata malvagità

È in età moderna che si fa strada l'idea che i comportamenti privati dei politici possano essere
irrilevanti politicamente, perché l'esistenza collettiva ha un'intrinseca e autonoma moralità, diversa
da quella che riguarda i singoli individui. Così, nella tradizione aperta da Machiavelli e proseguita
nella Ragion di Stato, i valori politici sono la sicurezza, la potenza e la gloria dello Stato; si tratta di
fini e di ideali che consentono al governante, per realizzarli, comportamenti difformi dalla morale
tradizionale; e poiché si chiede all'uomo politico solo il successo, con ogni mezzo, della sua azione
politica, la sua vita privata non è più importante.

La distinzione fra morale e politica che così si istituisce è controversa, e viene a volte accettata e a
volte respinta tanto dalle culture religiose quanto dal pensiero politico laico. La Chiesa cattolica ha
di fatto concesso qualcosa alla distinzione, dato che - pur continuando ad affermare che la politica si
fonda in ultima istanza sulla morale - ha rifiutato di far dipendere la legittimità di un uomo politico
dalla moralità dei suoi comportamenti privati (fino a quando non fanno scandalo pubblico);
mentre
al contrario nel mondo protestante - meno nel luteranesimo e più nel calvinismo - si è lottato contro
la corruzione e la peccaminosità dei principi, e si è preteso da loro, come da tutti i fedeli (ossia da
tutti i cittadini), una linearità di comportamento morale che non distinguesse fra pubblico e privato.
Certamente, ne sono nati fanatismi e ipocrisie, cacce alle streghe e conformismi; ma ne è nata anche
l'attitudine delle pubbliche opinioni a chiedere conto ai potenti della loro integrità personale oltre
che della loro capacità politica.
Secondo uno stile che si è affermato pienamente negli Usa, un
popolo di uomini liberi ha l'orgoglio di non farsi governare da politici corrotti.
Pare a molte delle culture politiche europee liberali che questo sia moralismo politico, per quanto di
orientamento democratico. E quindi la tradizione liberaldemocratica tiene ferma la distinzione fra
morale e politica, poiché crede nella separazione fra privato e pubblico; e auspica tanto dall'uomo
politico quanto dal semplice cittadino il rispetto della morale (di una delle molte possibili morali)
nei comportamenti privati, mentre esige che la conformità alla legge (che incorpora inevitabilmente
diffuse credenze morali, ma che con la morale non coincide per nulla) sia la regola dell'agire
pubblico di chiunque. Mentre le violazioni della morale sono faccende private (di privacy), rispetto
alla legge sono concesse agli uomini politici (non ai semplici cittadini) deroghe e eccezioni, segreti
e opacità, ma in misura molto limitata e esclusivamente per il superiore interesse della cosa
pubblica.
Tutto chiaro, dunque? La liberaldemocrazia europea ha risolto la millenaria questione del rapporto
fra morale e politica privatizzando la morale e giuridificando la politica?
Per nulla. Infatti, come è
assurdo immaginare una democrazia viva e vitale in una società di persone rispettose della legge ma
tutte e sempre moralmente abiette, così è impensabile che un grande governante sia anche
radicalmente e sistematicamente immorale nella vita privata.
In realtà è evidente che la
liberaldemocrazia per essere vitale deve negare tanto la piena sovrapposizione fra politica e morale
quanto la loro totale separatezza, tanto il moralismo quanto il cinismo, e deve esigere che fra
politica e morale si istituisca una qualche relazione.
Questa - non formalizzabile in norme di legge
eppure, per una sorta di istinto, chiara alle pubbliche opinioni informate - consiste in una sorta di
analogia, ovvero in una vicinanza o almeno in una non radicale contrapposizione, fra il modo in cui
un uomo di potere tratta coloro che gli sono vicini (la sua morale) e il modo in cui governa i
cittadini, e risponde a loro (la sua politica). La legittimazione dei leader, insomma, non sta solo
nell'aver vinto le elezioni, ma nel saper rispettare in ogni circostanza e in ogni momento il fine
ultimo - politico e insieme morale - della democrazia, l'ethos democratico: la libertà degli individui,
la dignità dei cittadini, l'umanità delle persone. Decadenza c'è quando di questa analogia - civile, e
non fanatica - né i politici né i cittadini sentono la necessità.

Carlo Galli     la Repubblica 22 giugno 2009