L’uguaglianza al tramonto

Due secoli tra utopia e realismo

È cambiata la realtà delle relazioni economiche, sociali, politiche e istituzionali che ha caratterizzato l´Ottocento e il Novecento: la grande fabbrica, il sindacato, il partito

Credo che, per cercare di capire a che punto siamo con il socialismo, occorra anzitutto affrontare l´argomento con la necessaria prudenza. Il Novecento e anche l´inizio del secolo nuovo è tutto un celebrare - da parte delle forze politiche e delle correnti ideologiche che in un certo momento si sono ritenute a cavallo della Storia - funerali di quelle considerate definitivamente espulse.
Quando vittorioso, il comunismo ha proclamato defunti il socialismo riformista, la democrazia borghese, il fascismo; il fascismo vittorioso ha fatto lo stesso con il socialismo di ogni corrente, il comunismo, il liberalismo, il pluralismo politico e istituzionale; il conservatorismo neoliberista malamente caduto ha cantato il De Profundis a keynesismo e socialdemocrazia.
Oggi è giunta l´ora di dare l´addio definitivo al socialismo sia pure democratico e riformista, ovvero siamo tout court al "post-socialismo»? L´interrogativo è più che mai serio e motivato.
La socialdemocrazia nelle sue diverse varianti naviga in acque decisamente cattive. Lo dice il suo assordante e stupefacente silenzio politico, culturale, programmatico di fronte alla crisi economica scoppiata nell´autunno del 2008. Lo dice lo stato dei partiti della famiglia, gli uni in un affanno più o meno forte, gli altri disastrati. E lo dicono gli assai deludenti risultati nelle elezioni per il Parlamento europeo. È tutto ciò a porre la questione: il socialismo sta sopravvivendo a se stesso così da indurre a pensare che sia prossimo a chiudere la sua storia?
Io per parte mia, nel rispondere, ritengo che si possa ragionare così. Il socialismo in quanto movimento che ha compreso nella sua lunga vicenda varie correnti - i cosiddetti utopisti e i cosiddetti realisti, i radicali e i moderati, i rivoluzionari e i riformisti, gli statalisti e gli antistatalisti - è stato insieme due cose: da un lato una acuta reazione alle disuguaglianze tra gli uomini e un progetto di totale o di maggiore eguaglianza; dall´altro l´elaborazione di programmi, l´indicazione di mezzi persino antitetici tra loro per raggiungere in maniera più o meno integrale il fine.
La variante più estrema del socialismo, il comunismo, ha chiuso la sua vicenda nel 1989 col fallimento della collettivizzazione in un quadro di statalismo totalitario. La socialdemocrazia si trova attualmente a fare i conti con la fine del ciclo che nell´Otto-Novecento aveva visto i suoi relativi eppure importanti successi, i quali poggiavano su una realtà delle relazioni economiche, sociali, politiche e istituzionali che è in corso di rapido esaurimento; vale a dire l´avere come fondamento la grande fabbrica e basi di riferimento un esercito di proletari dell´industria e possenti sindacati, l´essere in grado di mantenere organizzazioni di partito capillarmente distribuite sul territorio con un alto tasso di attiva partecipazione degli iscritti, l´agire nel quadro di Stati nazionali sovrani in un´epoca di crescente interventismo pubblico. Fattori questi, appunto, più che in trasformazione in via di dissolvimento.
Il 1989 ha segnato l´inizio del post-comunismo, il tempo presente indica che siamo anche al post-socialismo otto-novecentesco. Il mondo delle disuguaglianze con tutte le sue conseguenze e implicazioni è nondimeno più che mai vivo, e perciò resta da sciogliere il nodo se un socialismo rinnovato sia in grado di restare un soggetto capace di condurre in prima persona la lotta ideale e pratica contro di esse oppure se invece il post-socialismo otto-novecentesco significhi post-socialismo senza aggettivi.

Massimo L. Salvadori    Repubblica 16.6.09