L’etnia non conta, quando fa comodo

C’è anche Mario Balotelli tra gli africani che girano per la stazione Centrale e piazza Duomo e
fanno sembrare Milano a Silvio Berlusconi «una città africana»? Sarebbe divertente saperlo. Nato a
Palermo da una coppia di immigrati ghanesi ma adottato e cresciuto da una famiglia bresciana,
«Supemario» ha sempre vissuto in Italia, è di lingua madre italiana, non sa una parola della lingua
che parlavano i signori Barwuah che lo hanno messo al mondo, parla con un accento bresciano e
sarebbe stato titolare in tutte le nazionali giovanili italiane se non fosse diventato italiano, dopo un
tormentone burocratico, solo il 12 agosto 2008, al compimento dei 18 anni.
Nell’Egitto meridionale, verso il Sudan, hanno trovato un cippo di confine risalente al XIX secolo
a.C.: «Frontiera sud. Questo confine è stato posto nell’anno VIII del Regno di Sesostris III, Re
dell’Alto e Basso Egitto, che vive da sempre e per l’eternità. L’attraversamento di questa frontiera
via terra o via fiume, in barca o con mandrie, è proibita a qualsiasi negro, con la sola eccezione di
coloro che desiderano oltrepassarla per vendere o acquistare in qualche magazzino ». Insomma: il
negro stia alla larga, ma se viene per businness, si accomodi pure...
Un concetto ripreso quattro
millenni dopo da quel geniale istrione di Ruud Gullit, uno dei tantissimi «negri» (da Frank Rijkaard
a Edgar Davids, da Ronaldinho a Ronaldo, da Cafu a Serginho, da Dida a Clarence Seedorf...)
importati a Milano dal Cavaliere che sul calcio è di larghissime vedute multietniche.
Disse appunto, un giorno, il grande Gullit: «Se sei miliardario e giochi nel Milan sei anche un po’
meno negro». Sempre lì si torna: chi è lo «straniero»? Viene in mente l’infame battuta di Karl
Lueger, leader del partito cristiano sociale e borgomastro di Vienna a cavallo tra ’800 e ’900, che
arrivò a conquistare il 70% dei voti dei concittadini (prova provata che la democrazia non è
automaticamente garanzia di civismo) con una grande efficienza gestionale unita a una volgare
demagogia antisemita. Ammiratissimo da Adolf Hitler, Lueger diceva ridendo: «Sono io a decidere
chi è ebreo e chi no». Tu mi servi? Nessuna obiezione razziale. Non mi servi? Stai alla larga, giudeo.
Anche i peggiori razzisti dei Paesi che accolsero gli immigrati italiani si regolavano così con noi.
Basti rivedere le vignette pubblicate sul libro «Wop» di Salvatore J. LaGumina, dove i nostri nonni
venivano visti come scimmioni negroidi.
O rileggere il libro edito dal Saggiatore con gli studi
statunitensi sul razzismo anti-italiano dal titolo: «Gli italiani sono bianchi?». O ricordare che uno
dei soprannomi dati per decenni agli italiani in America, soprattutto negli Stati razzisti del Sud, fu
«Guinea». E sapete con quale soprannome fu a lungo marchiato il quartiere degli italiani a Londra?
«Abissinia».

Gian Antonio Stella     Corriere della Sera 10 giugno 2009