L'enciclica del papa e la lacuna
dell'amore
Il Cristianesimo è un
sublime inno all'amore. Chi può metterlo in dubbio? E' stato il suo fascino più
coinvolgente per tutte le generazioni che si sono succedute lungo questi due
millenni. «Dio è amore», la lettera enciclica di Benedetto XVI, ripropone quel
secolare inno cristiano all'amore. A prezzo però di una grave lacuna. Non vede
le contraddizioni immanenti allo stesso amore cristiano. Il quale cova infatti
fin dai suoi albori un'insidia distruttiva, quasi un veleno mortale: l'insidia
della paura della morte. Che è paura doppia perché paura di una duplice morte:
la morte fisica e la morte eterna dell'anima, ben più terrificante. Nei
documenti che testimoniano gli inizi dell'esperienza cristiana l'insidia della
paura è appena accennata. Non è evidente. Ma le tracce della paura già presenti
nei tre Vangeli sinottici, e che col tempo avrebbero anche potuto dileguarsi,
ebbero invece sviluppi pesanti già nel primo secolo. Prima con Paolo e poi col
Vangelo di Giovanni infatti la spina si fa più evidente fino a divenire con
Agostino una lama che penetra nel cuore della storia umana. E la fa sanguinare,
fino a oggi, come ben sappiamo. L'immagine di Dio-amore infinito, che dona
gratuitamente l'esistenza al creato, che ama l'uomo ingrato e peccatore fino al
sacrificio supremo del suo Figlio unigenito, che chiama all'eterna felicità e
alla visione beatifica, ha generato per secoli e genera tutt'ora orizzonti di
speranza. Nel medesimo tempo però con la deterrenza infernale della sua infinita
giustizia apre ferite di angoscia e di paura, produce traumi che la mente e
tutto il corpo patiscono perfino a loro insaputa e che si manifestano poi come
blocco della speranza, spavento senza parola, vuoto dell'anima, depressione. E
infine genera sudditanza. I fedeli cattolici hanno molta più paura della morte
che non i non-credenti. Lo dicono indagini sociologiche ma soprattutto è
esperienza quotidiana. La paura è insita nella loro stessa fede.
E' vero che l'intreccio fra amore e morte è un tema perenne
nella storia umana. La psicanalisi ne ha svelato la profondità. Ma il
cristianesimo ci ha messo del suo esasperando tale intreccio. Chi considera la
finitezza come dimensione connaturata alla vita più che parlare di morte parla
di vita in divenire. Non è così per il dogma cristiano che invece intende la
morte come una realtà a sé, separata dalla vita, contrapposta alla vita, nemica
della vita. Addirittura vede la morte come condanna per il peccato. Cosa dice
Paolo? «Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il
peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché
tutti hanno peccato».
E questo non è un bel messaggio. Eppure proprio quel
messaggio offre insistentemente il papa anche nella recente enciclica. E' il
dogma del peccato originale che in qualche modo viene insegnato di norma a tutti
i bambini ancora oggi nei catechismi e nelle ore di religione. Le madri mettono
al mondo figli inquinati nel profondo dal peccato, bisognosi del lavacro del
battesimo. E' Cristo e lui solo che ci salva dalla dannazione eterna
immergendoci nella sua morte e liberandoci dalla nostra morte.
«Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati
costituiti peccatori - dice ancora Paolo -, così anche per l'obbedienza di uno
solo tutti saranno costituiti giusti. ... Del resto, noi sappiamo che tutto
concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo
disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati
a essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito
tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli
che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche
glorificati. Che diremo in proposito? ...Io sono infatti persuaso che né morte,
né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze né altezza
né profondità né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in
Cristo Gesù, nostro Signore».
E siamo nel pieno della sublimità dell'inno all'amore di
Paolo, il quale per la verità raggiunge vette ancora più alte di stupenda
poesia. Ma siamo anche nel pieno della paura. Perché Dio giustifica tutti, sì,
ma tutti solo potenzialmente, nei fatti salva solo quelli che predestina, che
chiama e che ama. Ma io sarò fra quelli? Tutti noi saremo fra i privilegiati? E
riecco la paura. E ecco il bisogno di sentirsi protetti e abbracciati dalla
Chiesa che solo lei ha le chiavi della grazia e dell'amore divino, solo lei ha
gli strumenti sacramentali e di dottrina per darti la forza e la costanza della
fedeltà alla grazia.
Una pensatrice tedesca del secolo scorso, perseguitata dal
nazismo, esule negli Usa, Hannah Arendt, ha studiato a fondo uno dei fondatori
dell'attuale cristianesimo: Agostino, vescovo di Ippona nel IV secolo: «Il
concetto d'amore in Agostino» è la sua ricerca di dottorato. L'intellettuale
tedesca sostiene che per Agostino l'amore cristiano è intriso di una doppia
paura: la paura della morte naturale derivante dal peccato originale, che ci fa
tutti ugualmente peccatori, e la paura ancora più grande della morte eterna,
cioè della dannazione. «Nulla ci rende tanto inclini all'amore - dice il vescovo
santo d'Ippona - quanto il pericolo che ci sovrasta ... Pertanto, la pace e
l'amore siano conservati nel cuore grazie al pensiero del comune pericolo (il
pericolo della dannazione - ndr)».
Ma come! Non è Agostino il teologo dell'amore, non è lui
che dice: ama e fà quel che vuoi, ama e dì quel che vuoi? Sì, è vero. Ma la
libertà che dona l'amore è possibile a una condizione: «se (amando) sarai sempre
conscio di essere sotto la spada della parola di Dio».
Forse quelle cose non si dicono più in quel modo. Ma si
pensano e dominano la prassi cristiana nascondendo le contraddizioni.
«Dio è amore». Sono grato a Joseph Ratzinger, papa, di
averci ricordato con tanta forza questo lato di verità. Gli rimprovero, da
insignificante formica, di aver completamente ignorato l'altro lato, la spina,
la «spada». Non è così che si fa un buon servizio all'amore. Dio nel dogma
cattolico e nei catechismi è anche altro. «Dio è la cifra assoluta
dell'aggressività umana. L'uomo ha scritto che Dio ha fatto l'uomo a sua
immagine e somiglianza. La verità è l'opposto: l'uomo ha fatto Dio a propria
immagine e somiglianza. Il Dio a cui siamo stati assuefatti è un Dio aggressivo,
discriminante, implacabile, giusto nel modo con cui noi pensiamo che si debba
essere giusti, capace di mantenere in totale estraneità da sé i cattivi per
tutti i secoli dei secoli».
Non sono affermazioni di Fiedrich Nietzsche con cui è
facile per Ratzinger polemizzare. Sono parole di un religioso teologo, padre
Ernesto Balducci, che ha segnato la cultura e la prassi del cattolicesimo
conciliare nel dopoguerra. E sono parole sante perché se non si ha il coraggio
di riconoscere il veleno si impedisce di approntare l'antidoto. E rimprovero al
papa di aver colpito e anche scomunicato, quando era Prefetto del Sant'Uffizio,
chi ha cercato nella stessa linea di Balducci percorsi teologici e pratici per
mettere allo scoperto le radici di violenza e di paura insite nell'amore
cristiano, in modo da purificarlo.
ENZO MAZZI, Comunità dell'Isolotto Il manifesto 11/2/2006