L’abuso di Stato


Questa volta è solo cafonaggine perché non ci può essere una giustificazione politica. Se è stata una concessione a Bossi, è stato comunque un gratuito sberleffo all´Italia istituzionale, fuori dai partiti e dalla politica, l´Italia vera. Si può infatti irridere all´avversario politico o magari anche all´alleato, ma Berlusconi durante la parata ha fatto le boccacce alla Repubblica che è la forma del paese, forma nel senso di Gestalt, dell´anima: la forma-sostanza di tutto. Davvero non c´entrano il torcicollo e la stanchezza.
Guardate le foto (nessuno stavolta le sequestrerà), guardate la mimica facciale, guardatelo mentre parodizza il saluto militare, con le labbra a pernacchia, il finto sorriso di dileggio. Sembra davvero il clown descritto dal Times.
La sola spiegazione, prima di addentrarci nella psicanalisi o nella geriatria, è che davvero abbia voluto strizzare l´occhio a Bossi che era assente perché lui, che è ministro delle Riforme, non vuole la res pubblica ma la res privata: ognuno con il suo territorio e uno sberleffo al due giugno che significa il referendum e i morti ammazzati, la guerra ma anche la rinascita di un paese che si riscatta da un passato bellicista. Il due giugno sono anche le forze armate che si posizionano nel cuore degli italiani dopo viltà e disfatte. Questa volta dunque non c´è più nulla di simpatico, la canzonatura è odiosa persino più dell´abuso che Berlusconi fa degli aerei di Stato. E bisogna dirglielo chiaramente, all´uomo che vuole piacere a tutti i costi: anche abusare degli aerei di Stato è odioso. Legalizzare un abuso infatti non cancella l´abuso ma anzi lo raddoppia.
E non perché Berlusconi ci fa viaggiare i suoi artisti e le sue star, la delicata voce bianca di Napoli e le bambole di Ibsen che nella politica estera italiana sono, con le battutine, con le pacche sulle spalle, con le barzellette e da ieri anche con le smorfie di scherno, ormai più importanti degli ambasciatori, delle strategie di investimento economico, del governo dei mercati, della flotta area e marittima, del controllo delle acque e dei cieli. Insomma, abbiamo ormai tutti capito che, nella modernissima rivoluzione berlusconiana, Mariano Apicella è il Bismarck del Kaiser.

Ma vogliamo dire che, nonostante questo prestigioso kaiseraggiamento, che ovviamente merita il dovuto rispetto istituzionale, malgrado insomma il suo alto e certificato rango, neppure Sua Eccellenza Apicella dovrebbe abusare dell´aereo di Stato. Sì, sappiamo tutto dell´ormai famosa "Direttiva del 25 luglio 2008 regolarmente registrata alla Corte dei conti" che autorizza a salire sugli aerei militari "personale estraneo alla delegazione" ma accreditato su indicazione e firma di Gianni Letta. Ma il punto è che un abuso che viene legalizzato non solo diventa un privilegio, intollerabile come tutti i privilegi, ma è ripugnante proprio perché il delitto è stato trasformato in diritto.
E sarebbe stato così anche se per, assurdo, Riccardo Muti, che non gode dell´alta onorificenza di Velina, nel luglio del 2007, anziché viaggiare su un volo di linea, fosse stato anche lui imballato, come una cassetta di spigole del generale Speciale, su un aereo di Stato e depositato al Quirinale per dirigere il requiem di Verdi per la pace, trasmesso in diretta nel martoriato Libano dove erano e sono impegnati i nostri soldati. Eppure di sicuro quel concerto poteva essere classificato tra le relazioni di politica internazionale.
Poiché ormai anche noi abbiamo imparato a conoscerlo, sappiamo che Berlusconi ci farebbe a questo punto notare che quella sua sensuale ballerina di flamenco, fotografata mentre scendeva dall´aereo presidenziale, pur non avendo certo i titoli di Muti, ha comunque almeno una laurea, come del resto le belle candidate Lara Comi, Barbara Matera e Licia Ronzulli. Insomma, che c´è di male nell´affidare la politica (estera) agli artisti qualificati? Al Quirinale la bacchetta di Muti, e a Villa Certosa il topolanek.
Certo, a Muti nessun agente dei servizi segreti in tuta mimetica fece provare il piacere della minicar, come accade alle ragazze di Villa Certosa. Sul Corriere di ieri Fiorenza Sarzanini ci ha raccontato che gli agenti in servizio durante queste feste politiche hanno anche le armi. Kalashnikov? Chissà che brividi! Tanto più che la legge che ha introdotto il nuovo galateo istituzionale, bene illustrato dalle foto sotto sequestro, non obbliga le ragazze a portare gli slip.
Berlusconi può davvero spacciare per politica estera queste sue fughe nella prepotenza di Stato e per rispetto istituzionale l´irresponsabilità di irridere al due giugno. E può darsi che sia vero che Berlusconi esprime l´anima di un Paese che non riesce a prendere sul serio neppure la sua tragica storia, e che le feste di Villa Certosa siano la versione berlusconiana degli antichi protocolli d´intesa e dei balli a corte. Ma non esistono leggi che possono cambiare la natura delle cose. Se per esempio a Berlusconi – nell´ambito di questa sua ruffiana politica estera – venisse in mente di invitare a Villa Certosa l´intero circo Togni, nessuna nuova disciplina d´urgenza firmata da Gianni Letta, renderebbe elastico l´acciaio permettendo ai servizi segreti e all´aeronautica militare di trasportare e ospitare a bordo gli elefanti e le giraffe. Ecco: l´acciaio rimane acciaio e l´abuso rimane abuso. Anzi, legalizzare l´abuso non solo non lo cancella ma, come dicevamo, lo raddoppia e lo rende odioso. E ci pare un codice, questo della prepotenza odiosamente visibile, che dovrebbe almeno impensierire un uomo come Berlusconi che punta tutto sull´amabilità. è un po´ come se a Roma il sindaco consentisse il posteggio in doppia fila, ma solo alla sua auto e a quella dei suoi amici: una pernacchia istituzionale. Come quella che il nostro presidente del Consiglio ha fatto ieri alla cerimonia nella quale la Repubblica ferma il tempo. Tutte le istituzioni, al fianco del capo dello Stato, sono i custodi e i sacerdoti della sola forma che le legittima: il due giugno è la festa del presidente del Consiglio. Com´è possibile che Berlusconi abbia canzonato se stesso? Berlusconi fa una pernacchia agli italiani ogni volta che legalmente abusa dell´aereo di Stato. Ieri l´ha fatta anche a se stesso.

Francesco Merlo     Repubblica 3.6.09

 

 

Princìpi da osservare e (poi) da predicare

In un bellissimo racconto di Cechov si narra di un giudice, un uomo severo e intransigente che è
intento a educare un figlio bambino dopo che la moglie è morta prematuramente. Non devi dire
bugie, ripete al piccolo, non devi comportarti con slealtà, non devi fare il prepotente, non devi
parlare a vanvera, non devi nascondere nulla, tutto nella tua vita deve essere trasparente, perché così
si comporta una persona civile. Il figlio bambino china la testa e annuisce. Sa che il padre parla per
il suo bene.
Un giorno il giudice torna dal lavoro con un’ora di anticipo e sorprende il figlio a fumare una
sigaretta. Apriti cielo! L’uomo si dichiara deluso, strepita per l’inganno ordito dal ragazzino. Gli fa
una grande paternale ricordando la madre morta, l’enorme responsabilità che si è preso
nell’educarlo. E tu, appena volto le spalle, trasgredisci ai patti con tanta spudoratezza! gli grida. Lo
sai che il fumo fa male, intorpidisce la mente, ostruisce le arterie, ingiallisce le dita e i denti, fa
puzzare l’alito e fa anche venire il cancro! Non ti vergogni?
Il bambino solleva gli occhi innocenti sul padre che non ha mai osato contraddire e dice con voce
timida: «Ma anche tu fumi papà!». L’uomo si guarda le dita ingiallite ed è lui questa volta a chinare
la testa. Per la prima volta si chiede se non abbia sbagliato qualcosa nell’educazione del figlio. Lì
per lì ribatte che lui è adulto e ha delle libertà che il bambino non ha. Ma dallo sguardo del piccolo
capisce che non risulta credibile. Come persuadere un bambino a comportarsi bene? Una voce
interiore gli dice che non c’è alternativa all’esempio. Se sarà un buon giudice saprà indirizzare il
figlio verso un mestiere portato avanti con generosità e rigore, ma anche nella vita di tutti i giorni,
se saprà mostrarsi operoso, sincero, onesto e savio potrà pretendere che il figlio diventi una persona
operosa, onesta, sincera e savia.

Il giudice riflette sulla credibilità di chi comanda. E deve constatare una cosa che ha già notato sul
lavoro: se chi si trova in stato di autorità non dimostra di aderire profondamente alle regole che
pretende di fare valere ai suoi sottoposti, quello che può ottenere è solo una meccanica obbedienza.
Ma l’obbedienza è una virtù insincera e per tanto soggetta alla finzione.

Chi si sottomette a delle regole perché è costretto a farlo, appena può trasgredisce. È solo la
convinzione a rendere sicura l’educazione. I precetti, le interdizioni, i divieti non funzionano se non
si propone una buona ragione per tenerne conto. E le buone ragioni debbono essere spontanee, mai
imposte.
Quando infatti chi comanda insiste nel pretendere obbedienza verso regole che per primo
non rispetta, spinge gli altri alla clandestinità e alla doppiezza. È quello che accade nelle famiglie in
cui i genitori pretendono dai figli l’adesione a principi astratti che loro sono i primi a non tenere in
considerazione.

Dacia Maraini     Corriere della Sera  2 giugno 2009