Si può essere cristiani e razzisti?

Assolutamente no! Se sollevo la questione, è per il fatto che mi è stato posta da una persona molto
erudita, che trovava che nel corso della storia la Chiesa aveva giustificato più di una volta, da un
punto di vista biblico, dei comportamenti razzisti che non la lasciavano indifferente.
Prima di essere un problema ecclesiale, il razzismo è un problema di società, il che la dice lunga, a
volte, sui popoli e sui loro dirigenti.
Cancrena nascosta, assume oggi in molti luoghi del mondo le
vie traverse del cinema, della pubblicità o dei fumetti, senza che ne siamo pienamente coscienti. Si
ingegna ad opporre le origini etniche di uomini e donne prigionieri nei ghetti delle nostre città.
Fomenta le lotte tra i nostri ebrei e arabi locali, alimenta la paura del “Nero” o del “Giallo”, ed
altrettanti termini deprecabili, che nel corso della storia dei popoli hanno portato apartheid, pogrom
e genocidi. Quando arriva la crisi, si risvegliano i riflessi identitari a indicare i nuovi capri espiatori.
In un certo modo, il razzismo è un male alla portata di tutti!

E l'atteggiamento dei cristiani? Certo lo sappiamo - in questo senso il mio interlocutore ha ragione -,
le giustificazioni bibliche della distinzione delle razze, nonché della schiavitù dei Neri non sono
mancate: c'è per esempio, nella Prima Alleanxa, la maledizione di Canaan (Gen 9, 18-27);
l'ingiunzione, nel Levitico (25, 44-46), di prendere nelle nazioni vicine il proprio schiavo e la
propria serva. E nella Nuova Alleanza, certi hanno visto nella guarigione dello schiavo del
centurione una prova che Gesù, non contestandola, approvava la situazione di schiavo; quanto a san
Paolo, non scrive forse a proposito della situazione di schiavo: “Non preoccupartene [...] Metti
piuttosto a profitto la tua condizione di schiavo” (1 Corinti 7, 20-21). Commenti gretti, che si
accordano facilmente ad una prostituzione dello spirito e del cuore. Dei cristiani, sia cattolici che
protestanti, e in certe contrade come il Sudafrica o gli Stati Uniti con una rara virulenza, hanno
sostenuto una politica di segregazione assolutamente intollerabile.

Oggi il male non è scomparso, rinasce come l'idra di Lerna. Di fronte ad un pregiudizio razzista, le
parole vengono meno, solo gli atti parlano.
Cristo non ha mai predicato il minimo atteggiamento
razzista, ma rimanda il cristiano alla sua responsabilità storica. Lo invita (è la dimensione profetica
del battesimo) a porsi alla giuntura tra Chiesa e società, per denunciarne le forze sovversive e
mostrarsi solidale con i più piccoli, non per pura ideologia, ma perché sono i preferiti di Dio, i
benedetti del Padre.
Denunciare il razzismo significa far sì che i più deboli, oppressi dagli uomini, possano sollevarsi.
Questa solidarietà si scontra ancora con le piaghe purulente che infettano il nostro mondo, perché
può essere solo solidarietà critica, che pone la scena del Regno nel cuore del mondo. Si tratta di
amare Dio nel proprio fratello, concreto, straniero, immigrato, passante, clandestino.

Sylvain Gasser       in “La Croix” del 2 maggio 2009, periodico cattolico francese