La vita nella povertà più radicale

Francesco morì nel 1226 e fu canonizzato nel 1228. L’ordine conobbe un’espansione straordinaria
ma anche gravissime tensioni interne. Bonaventura da Bagnoregio, eletto nel 1257 ministro
generale, mosso dall’intento di riportare la pace e di ricomporre i profondi dissidi in merito
all’interpretazione da dare al messaggio e alla Regola di Francesco – fra coloro che volevano
seguire la povertà più radicale ed attuare alla lettera le parole del santo e coloro che volevano invece
ammorbidire ed interpretare entrambe – nel Capitolo generale di Parigi del 1266 stabilì che d’allora
in avanti, soltanto alla sua biografia, la Leggenda maggiore, venisse riconosciuto il crisma
dell’ufficialità e dell’attendibilità.
Scomparvero così tutti i manoscritti che tramandavano le tre precedenti biografie scritte dal
francescano Tommaso da Celano, che pure erano state commissionate da un pontefice, Gregorio IX,
e da due generali dell’Ordine, Giovanni da Parma e Crescenzio da Jesi. Scomparvero le biografie
non ufficiali, scritte dai compagni non contenti dei ritratti della santità di Francesco, aggiornati via
via al successo dell’ordine, che Tommaso da Celano aveva tratteggiato.
Se si riflette al fatto che ogni convento francescano possedeva le biografie del fondatore, non si può
non rimanere colpiti dalle dimensioni di questa distruzione, attuata con grande meticolosità ed
attenzione: ad esempio la Vita prima di Tommaso da Celano fu recuperata solo nel 1768, la Vita
seconda e il Trattato dei miracoli (entrambi dello stesso Tommaso) tornarono alla luce,
rispettivamente, nel 1806 e 1899, in rarissimi o unici esemplari. Per molti secoli dunque Francesco
fu il Francesco di Bonaventura.
Ma lasciamo le biografie e volgiamoci a Francesco, alla sua voce, ad una sua famosa e limpidissima
pagina. Secondo Francesco perfetta letizia non sarebbe l’entrata nell’ordine degli intellettuali più
prestigiosi e delle persone più in vista e famose residenti all’estero, a segnalare il successo
straordinario dei francescani, né la conversione in massa degli infedeli operata dai frati, evento
strepitoso mentre una Chiesa sempre in armi dimenticava la disarmata parola evangelica, o la
capacità di Francesco di fare miracoli e di sanare gli infermi, la gioia di essere riconosciuto santo in
vita, paragonato agli apostoli. Vera letizia, secondo Francesco, è bussare alla Porziuncola – uno dei
luoghi più cari al santo, dove volle morire – in una notte rigidissima, intirizzito e sfinito ed essere
scacciato da un proprio compagno, lui, il fondatore, e sentirsi dire: «Vattene, tu sei un semplice ed
un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te».
Sopportare serenamente il rifiuto della propria famiglia spirituale è per Francesco il raggiungimento
della difficilissima virtù della perfetta letizia. Riuscire a rinunciare a tutte le gratificazioni mondane
che rivelano via via la loro inconsistenza e vacuità,
sopportare la mortificazione profonda degli
affetti, come Cristo che perdonò ai compagni il loro sonno sul Monte degli Ulivi e a Pietro di averlo
rinnegato, è il faticosissimo cammino che Francesco ancora oggi addita per conquistare la perfetta
letizia, per giungere cioè a quella misericordia che un giorno permise al santo di comprendere,
accettare e amare perfino il lebbroso. In altre parole, conquistare la perfetta letizia è riuscire a
mettere in pratica, alla lettera, il messaggio d’amore del Vangelo.

Chiara Frugoni    La Stampa 7 aprile 2009

 

 

Nel segno della povertà San Francesco e la sua regola

Era probabilmente la primavera del 1209 quando uno strano gruppo che si autodefiniva dei
"penitenti di Assisi" si presentò a Roma al papa Innocenzo III, allora al culmine della sua potenza.
Vestivano le povere tuniche dei lavoratori manuali e portavano le brache, come si usava andando in
viaggio. Li guidava il figlio di un mercante, Francesco, che alcuni anni prima aveva rinunciato ai
suoi beni e abbandonato le ambizioni cavalleresche nutrite fino allora. Al papa volevano chiedere
l'approvazione di un breve testo che compendiava il loro proposito di vivere "secondo il modello
del santo Vangelo".
Era il punto d'arrivo di una percorso non breve, che Francesco aveva iniziato da solo. Le tappe per
lui essenziali sono evocate nel suo Testamento, una rarità per quei secoli, dettato prima di morire
per lasciare ai "fratelli", con le sue ultime volontà, il ricordo dei caratteri della loro scelta
evangelica. Francesco non spiega: descrive un cammino posto tutto sotto il segno della grazia: il
Signore mi diede, il Signore mi mostrò. L'inizio aveva comportato una svolta radicale. Non a caso
per darne piena l'idea egli scelse il suo incontro di misericordia con i lebbrosi: con quanto di più
orrendo cioè esisteva agli occhi degli uomini di quel tempo. Anche per lui era stato naturalmente
così, al punto da fuggire alla loro vista. Ma dopo quell'incontro ciò che prima gli appariva "amaro"
gli si mutò, come disse, "in dolcezza di animo e di corpo".
Sono parole che suggeriscono quel radicale rovesciamento nei comuni criteri di giudizio e di
comportamento, che resterà per lui il connotato saliente del modello evangelico da riproporre agli
uomini.
Era Cristo stesso che con la sua incarnazione ne aveva offerto i tratti: «Egli, che essendo
ricco sopra ogni cosa, volle scegliere con sua madre la povertà», come Francesco scrisse in una
lettera ai fedeli. Il proposito di seguire "le orme di Cristo", di riproporre il modello da lui offerto,
comportava dunque, per essere credibile, la scelta della povertà, una povertà quale veniva
concretamente vissuta allora dai poveri: all'ultimo gradino della società, senza garanzie né cultura,
umili e sottomessi a tutti, lavorando con le proprie mani o ricorrendo altrimenti alla mendicità, ma
offrendo a ogni incontro quel saluto di pace («il Signore ti dia pace») che compendiava tutto il
senso di una vita di testimonianza cristiana la cui sola pretesa era di mostrare «quei nuovi segni del
cielo e della terra che sono grandi ed eccellenti agli occhi di Dio e che da molti religiosi e altri
uomini non sono considerati affatto».

Si trattò di scelte e convinzioni sui caratteri di quel modello maturate poco a poco, ma che
Francesco situò nel loro momento culminante, ossia «dopo che il Signore gli diede dei fratelli».
Non era una scelta scontata. Da sempre coloro che intendevano abbracciare la vita religiosa per
"seguire Cristo" rinunciavano ai propri beni: i versetti del vangelo lo richiedevano esplicitamente.
Ciò implicava la povertà personale, ma non una vita di povero tra i poveri. Tradizionalmente
monaci e canonici, abituali autori di quella rinuncia, si collocavano al sommo delle gerarchie
sociali, protetti dai privilegi loro concessi da Roma. Per Francesco non era né doveva essere così.
Non era il chiostro di un ricco convento la sede adatta per dare testimonianza del Cristo: essa
andava offerta con la propria vita per le strade dal mondo.

Non era in questo progetto l'unica difficoltà agli occhi di Roma. In quei decenni infatti il Vangelo
era divenuto l'insegna di movimenti che ne contestavano la ricchezza e il potere. Nemmeno questo
però Francesco voleva: esplicita infatti è la sua scelta di ortodossia e di sottomissione a Roma. Lo
attesta tra l'altro la sua richiesta al papa di approvare il suo progetto. Ogni forma di ribellione del
resto avrebbe contraddetto ai suoi occhi quella scelta di umiltà e sottomissione, quella rinuncia alla
propria volontà che non fosse di seguire Cristo.
Dopo molte incertezze la sua richiesta fu accolta: si trattava in fondo di un piccolo gruppo senza
pretese. Ebbe inizio così un nuovo percorso del tutto imprevisto. In pochi anni infatti quel piccolo
gruppo crebbe ad alcune migliaia, configurando agli occhi di Roma un insperato strumento per
sopperire alle carenze della cura pastorale e far fronte alla crescente minaccia ereticale. Nasceva un
nuovo ordine religioso, che doveva uniformarsi ai modelli offerti dalla tradizione. Francesco, pur
accettandolo, visse con grande sofferenza tale processo.
Il Testamento lo esprime chiaramente.
Secondo un suo biografo così, sul letto di morte, egli si sarebbe rivolto ai "fratelli": «Il mio compito
l'ho svolto, il vostro ve lo insegni Cristo». Sono parole che segnano l'avvenuto distacco, la
consapevolezza che la strada che egli aveva percorso era diversa da quella su cui l'ordine era ormai
avviato.

Giovanni Miccoli      la Repubblica 7 aprile 2009