UNA LAICITÀ LIBERANTE
 

 Finito il tempo gentile degli auguri, inizia il confronto con la realtà. L'anno nuovo ci trova spaesati, straniati, frastornati. Perfino i valori della cooperazione mostrano il volto duro della crisi più nera. Se dovessimo sintetizzare con una parola questo aspro confronto con l'anno nuovo potremmo usare il termine "rifiuto". Sì, ha stravinto la strategia violenta del rifiuto di tutto ciò che siamo in termini di umanità: solidarietà, condivisione, accoglienza reciproca fra diversi come noi, amore, speranza, per non dire fede. Non c'è posto per tutto ciò, in questo dominio incontrastato della cultura dell'onnipotenza. Non resta che l'Apocalisse - scrive il filosofo francese Yves Michaud - l'avvenire riacquisterebbe un senso… venendo semplicemente a mancare" (Le Monde 29/11, la Repubblica 3/12 2005).
Trovo ancora una volta e direi sempre più conforto, ma anche sostegno e spinta, rivisitando le origini prime del movimento da cui scaturirono sia l'Apocalisse che i Vangeli. Possiamo parlarne un po' insieme? Questo rialimentarsi continuamente alle origini ritengo che non sia affatto una mitizzazione dei tempi d'oro né una fuga dalla storia. È semplicemente la riaffermazione testarda della visione della storia dalla parte degli esclusi. È produzione di cultura altra o se volete di controcultura. E forse è la radice più profonda della fede nel Dio senza potere fra i senza potere, povero tra i poveri, rifiutato tra i rifiutati in carne ed ossa. Anche lì, nel primo secolo, nei tempi durissimi della pax romana, il "rifiuto" dei valori umanitari connotava la cultura del dominio.
Non per nulla la frase del Vangelo di Luca "non c'era posto per loro" è il succo, io credo, di tutto il racconto della nascita di Gesù. Ma Luca non vuole raccontare un fatto. La narrazione di Luca a proposito del Natale è una costruzione simbolica e teologica su Gesù e una testimonianza di valori umani. Addirittura molti storici affermano che molto probabilmente Gesù è nato a Nazareth e non a Betlemme. E chi ha scritto il Vangelo di Luca certamente lo sapeva. Allora perché ha scritto tutte quelle cose che si leggono sulla nascita di Gesù? Perché ha voluto scrivere "Non c'era posto per loro"?
Sembra chiaro che Luca sta parlando non solo di Gesù ma di se stesso e delle comunità a cui lui appartiene, le prime comunità cristiane. Gesù è stato crocifisso più o meno mezzo secolo prima che il Vangelo di Luca venisse scritto. E anche loro, cioè le prime comunità cristiane, ora dopo cinquant'anni dalla crocifissione continuano a sentirsi rifiutate dalla società del tempo, come lo era stato il crocefisso. Meno dalla società ellenista. Più dalla società ebraica. Non sfondano. Sono comunità sparute, piccole e povere. Sono emarginate. Un elemento importante per capire il significato del Vangelo di Luca, chiamato da qualcuno "Vangelo del discepolato", è costituito dalla "grande inserzione" lucana, che va dal cap. 9,51 fino al cap. 19,28. Questo vero e proprio blocco letterario è caratteristico di Luca e descrive il viaggio di Gesù a Gerusalemme culminato nel rifiuto e nella crocifissione, proponendolo come modello per le comunità cristiane.
Ma il loro non è vittimismo. Sono rifiutate per una loro scelta precisa. Una scelta di liberazione e di autonomia da tutte le dipendenze. In primo luogo si sentono e vivono libere rispetto alla dipendenza dal sistema sacro del Tempio e del sacerdozio, con tutte le imposizioni insostenibili, i divieti senza limiti, le regole impossibili, le invadenze intollerabili nella vita quotidiana. In secondo luogo sostengono la necessità di una liberazione rispetto alla dipendenza politica e culturale dal sistema di dominio imperiale. Rifiutano l'omoogazione ai modelli dominanti sia dell'ebraismo che dell'ellenismo. Sono sparute ma non isolate. Sono inserite in un movimento di liberazione che si alimenta alle controculture popolari diffuse nell'am-biente mediorientale del tempo che è un vero e proprio crogiolo. Tutto il racconto della nascita di Gesù è intessuto di questo senso e valore di liberazione.
Maria che concepisce fuori dal matrimonio. La vergine madre è un archetipo, un modello ancestrale che si ritrova in molte culture. E ovunque ha un grande valore di autonomia e libertà creativa. Luca usa quell'archetipo per definire i valori divini e umani, morali, sociali del grembo da cui nasce Gesù. E per "grembo" intendo non solo la personalità della madre, ma il suo ambiente sociale, la cultura popolare in cui ella vive, che non trovo di meglio che chiamare "controcultura". Povera Maria, imprigionata nella gabbia ideologica della verginità biologica! La verginità di Maria è ben altro. È chiusura e opposizione verso il modello di uomo dominante, imposto dai poteri del tempo. "Non conosco uomo" dice Maria all'angelo. Ed è rifiuto del maschio che viola il corpo della donna per avere da lei la progenie che assicuri la continuità del potere. "Rovesciati i potenti dai loro troni e innalzati i senza potere" è la prima cosa che dice appena si accorge di essere incinta. È lì, in questa profezia di rovesciamento globale, la verginità di Maria.
E poi altri elementi coerenti. Giuseppe che accetta di essere un uomo diverso dai soliti modelli, uno sposo-non sposo, un marito molto anomalo, un padre-non padre. Una famiglia di povera gente, completamente fuori dal giro, fuori dal mondo del sacerdozio e del potere. I pastori, gente priva di considerazione, rifiutati dal perbenismo, sono i primi ad accogliere Gesù. E questo Gesù che per culla ha una mangiatoia e per casa una stalla. Non ha poi tutti i torti chi vede una qualche affinità con la cultura cinica, "barboni" per scelta di autonomia e libertà. C'è affinità anche col mito greco-romano di Mitra, il dio della luce celeste, nato in una grotta, talvolta identificato col sole stesso, certo suo custode. Il culto di Mitra non si svolgeva in templi ma in grotte. Era un culto molto diffuso. Si potrebbe dire che "c'era posto", molto posto per Mitra. Ma Luca si distanzia da Mitra: "Non c'era posto per loro".
Il racconto simbolico dell'evangelista Luca parla di un modo di vivere dei primi cristiani o comunque indica una tendenza, una vocazione a cui i primi cristiani sono indirizzati dall'esperienza complessiva del movimento di Gesù. Una vocazione che costa e che si paga col rifiuto. È per questa loro scelta di libertà che vengono rifiutati. Per questa scelta di non omologazione, di "verginità" rispetto al potere, "non c'è posto per loro".
Come chiamare questa profezia di liberazione? Potremmo chiamarla oggi scelta di laicità?
E quello che sta accadendo non ci fa sentire in qualche modo vicini alle comunità cristiane primitive? Non troviamo anche oggi un rifiuto alle scelte di laicità?
C'è un grande disagio attualmente nella società e nella Chiesa stessa per questa ripresa da parte delle gerarchie di un dominio sulle coscienze che credevamo superato dal Concilio. Per questi pesi insopportabili che vengono scaricati sulle spalle del popolo, delle donne e degli uomini. Per questa invadenza del potere ecclesiastico nella vita quotidiana che appesantisce la già grande fatica nel tenere insieme la gioia e il dolore, la solidarietà e la sicurezza, l'amore degli altri e l'amore di sé, la paura e la speranza, la vita e la morte.
E allora c'è davvero bisogno di laicità come riappropriazione dal basso della esistenza in tutti i suoi aspetti. Se si dovesse usare il linguaggio di Luca si potrebbe dire che c'è bisogno di "verginità" come chiusura e opposizione nei confronti del sistema globale di potere, potere sui corpi e potere sulle anime, potere sull'etica e sulle coscienze, potere sulla stessa trasmissione della vita. C'è bisogno, un gran bisogno che i potenti siano rovesciati dai troni ed innalzati i senza potere.
Sentiamo il bisogno di condividere, con coloro che lo desiderano, un cammino di crescita culturale e vitale verso la consapevolezza profonda dei valori di laicità su cui costruire un "mondo nuovo possibile".

don  Enzo Mazzi  della Comunità dell'Isolotto - Firenze    -   Adista Notizie n.5  2006