L'ombra della
Chiesa
Già dall'alto dei cieli, sull'aereo che lo sta portando al prediletto continente
africano, il Papa
proclama che l'Aids non si risolve distribuendo preservativi, i quali anzi
aggravano il problema. Si
può rassegnarsi a che la Chiesa ripeta le sue posizioni assolutiste, in nome
della fedeltà ai principii,
ma c'è una gamma di sfumature possibili.
Di occasioni, di toni. Invece no. Invece vince l'oltranza. È la
posizione di sempre della Chiesa, si
obietta, è stata del suo predecessore. (L'innovazione, annotano i filologi, sta
nel fatto che questa
volta il Papa ha pronunciato proprio la parola: preservativo).
Ma c'è un di più, una troppa grazia, nell'inaugurare così il pellegrinaggio
africano. E non
limitandosi a dire che i preservativi non bastano ad affrontare il flagello -
certo che non bastano -
ma che lo aggravano. Dunque additando il peccato e la colpa di chi i
preservativi in Africa cerca di
distribuirli, e passa così per untore. C'è un'impressione di pazzia che
ricorre attorno a queste scelte,
e non si capisce come la Chiesa voglia ignorarla, quando non si compiaccia di
fomentarla. Di dare
scandalo.
Erano passati dieci giorni dallo scandalo per la bambina brasiliana. Quale
persona ragionevole e di
cuore, cattolica o no, credente o no, può voler costringere una bambina di nove
anni e di trenta chili
a partorire due gemelli, frutto della lunga violenza esercitata su lei da un
patrigno che l'aveva in
balia? Otto giorni dopo la notizia che la madre della bambina e i medici che
l'avevano soccorsa -
questo è il verbo: soccorsa - erano stati scomunicati dall'arcivescovo di Recife,
e che il Vaticano ne
aveva approvato l'operato, otto giorni dopo, un prelato romano ha ritenuto di
correggere quel gesto
scandaloso. E come l'ha fatto? Dicendo (cito il titolo, testuale,
dell'Avvenire): «Scomunica sì, ma
serviva misericordia». Una scomunica misericordiosa, questo serviva?
«Prima di pensare alla
scomunica era necessario e urgente salvaguardare la vita innocente della
bimba...». Non «prima di
pensare alla scomunica», ma «invece di pensare alla scomunica», era urgente.
Tuttavia la mezza marcia indietro può essere il modo della
Chiesa di fare una marcia indietro intera,
e va almeno apprezzata l'insistenza sulla necessità di trattare i singoli casi,
perché nella casistica, e
in una casistica magari ipocrita ma intelligente, sta l'eventualità che la
Chiesa di oggi riapra l'occhio
della misericordia. Resta il fatto che il tentativo di restituire alla Chiesa
un'aura di sensibilità ha
impiegato otto giorni, e nel frattempo si erano sguinzagliati i cani arrabbiati,
e non è poi facile
richiamarli a cuccia. La dottoressa Fatima Maia è la direttrice del Centro
sanitario in cui la bambina
brasiliana ha potuto abortire, è cattolica, e ha avuto anche lei il tempo di
riflettere, e poi ha
dichiarato: «Grazie a Dio, mi trovo fra quelli che sono stati scomunicati». Lo
ripeto, senza nessun
compiacimento: un'impressione di non leggera follia.
C'è un'esasperazione attorno a questo Papa e alla sua Chiesa. E
non si tratta solo delle persone, di
quelli che sanno immaginare di essere il padre o la madre della bambina di
Recife, e di quelli così
bravi e infelici da saper immaginare di essere quella bambina. E di essere un
bambino o una
bambina, una donna o un uomo della prediletta Africa. Ieri sono piovute le
proteste secche di una
serie di cancellerie. Non della pregiudicata Spagna di Zapatero, ma della
Germania di Ulla Schmidt
e di Angela Merkel e della Francia di Kouchner e Sarkozy, e della stessa Unione
Europea. L'Unione
Europea, gli impettiti e maturi rappresentanti di un continente fortunato
costretti a ribadire che la
diffusione del preservativo serve a salvare vite umane, in Africa e dovunque.
Questo non succedeva con "l'altro Papa", benché anche lui, papa Wojtyla, fosse
così rigido in ciò
che tocca la sessualità. Non c'entra solo la diversa personalità dei due uomini.
C'entra il tramonto di
quella che si può chiamare l'"eccezione cattolica": una specie di accordo, metà
rassegnato metà
cortese, sulla bizzarria per la quale la Chiesa cattolica si riserva delle
licenze paradossali per tutto
ciò che riguarda il sesso, e di lì in poi si può averci a che fare. È
questo che tanti uomini di Chiesa
(compreso quell'arcivescovo di Recife) chiamano il primato della legge di Dio
sulla legge degli
uomini. Legge di Dio è quello che attiene alla sessualità. Attenzione: alla
sessualità, e non alla
"vita". Non si spiegherebbe se no la tiepidezza con la quale la Chiesa ha
maneggiato la questione
della pena di morte. Ma la sessualità non è più, ammesso che lo sia stata
mai - come pretendeva
un'epoca in cui i panni sporchi si lavavano in famiglia, e all'orecchio del
confessore - un terreno
riservato e appartato.
Il Papa può proclamare, sempre dall'alto di quel cielo, che la soluzione stia
nell'"umanizzare la
sessualità, cioè innovare il modo di comportarsi verso il proprio corpo": ma
questo vuol dire
ignorare il problema presente e urgente, e sabotarne i rimedii parziali ma
essenziali, com'è
l'educazione all'uso del preservativo e la sua distribuzione. Specialisti
papisti dichiarano che l'uso
del preservativo è dannoso perché induce a una fallace sicurezza, e che dietro
la sua promozione
stanno le ingorde multinazionali produttrici. Balle: al complottismo
dell'affarismo profilattico si
risponda piuttosto rivendicando la gratuità, e il rischio residuo dell'uso del
preservativo è
incomparabile con il disastro dei rapporti non protetti, salvo che si
finga di credere che davvero la
gente smetta i rapporti sessuali, e lo faccia per giunta in misura e tempo utili
a fronteggiare
l'epidemia. Con una simile logica, se finalmente esistesse un vaccino
anti-hiv, bisognerebbe vietarne
la diffusione. Che sensazione di non lieve follia.
Il Papa ha lodato la gratuità delle cure, e ci mancherebbe
altro. Ma a condizione che si affronti la
riproduzione allargata di malati da curare, gratis o no. Le impazienti reazioni
di governi e istituzioni
internazionali, che vedono offesa la ragionevolezza e sabotata la fatica di
tanti professionisti e
volontari, restituiscono il Vaticano alla sua misura terrena e alla sua
responsabilità diplomatica,
senza eccezione. Una stupidaggine è tale, anche se venga pronunciata da un
Papa, e in nome di un
Dio. Oltretutto in questa circostanza il Papa ha a che fare solo con se
stesso: non con una Curia
intrigante, non con una qualche solitudine, non con «un difetto - anche lui! -
di comunicazione».
E l'Italia? Il suo ministro degli Esteri ha spiegato che lui non commenta le
parole del Papa. L'Italia è
extraterritoriale. Per l'Italia, di gran parte del centrodestra e di una
mortificante parte del
centrosinistra, l'eccezione cattolica resta in pieno vigore. C'è una
divisione del lavoro: alla Chiesa
competono la nascita e la morte, più alcune cerimonie dell'intermezzo - i
matrimoni, essenzialmente
- alla maggioranza politica l'intermezzo vero e proprio, la vita, cioè, se non
dolce, ottimista.
La pietà dei credenti viene stirata tormentosamente. Muore Piergiorgio Welby e
gli viene rifiutato il
funerale. Quando si tratta di Eluana, i rifiutatori proclamano che «Welby era
un'altra cosa». Lo
vedemmo, che altra cosa era. Quando si tratta di Eluana, si grida all'omicidio.
Per vendicarsene, una
maggioranza pagana e sanfedista cambia il nome delle cose e confisca i corpi dei
sudditi. Lasciando
libertà di coscienza: graziosa espressione, che vuol dire che la coscienza è
revocabile, e che la sua
libertà è una cosa da "lasciare". Coscienze in deposito, oggetti smarriti.
Può darsi che la gerarchia
cattolica italiana sia contenta così: contenta di galvanizzare le sue schiere
militanti, e di mettere a
tacere i suoi fedeli dissidenti e amareggiati. Che addirittura questa faziosità
le sembri una bella ed
evangelica intransigenza. Non è escluso, dato che anche dalla parte
opposta, di quella che si prende
per sinistra, ci sono campionari simili. Ma che futuro verrà da un tal presente?
L'eccezione cattolica
accompagna come un'ombra la storia italiana, e in certe ore si allunga fino a
inghiottirla. Ogni volta
di nuovo i cittadini laici - credenti o no, davvero non è il discrimine - si
chiedono se il saldo fra il
dare e l'avere della presenza cattolica nella società italiana sia in fondo
positivo o negativo. Se
bisogni augurarsi di ridurla allo stremo, quella presenza, per diventare un
paese un po' più normale,
a costo di perdere tanta carità e solidarietà e premura per la vita indifesa, o
se si ritenga ancora che
quella presenza faccia argine al peggio, al razzismo, al cinismo,
all'esclusione. Finora, la gran parte
dei laici ha creduto, o almeno confidato e scommesso, sul secondo corno del
dilemma. Anche i
mangiapreti. Marco Pannella e i suoi andavano a piazza San Pietro per dare forza
alla battaglia
contro la fame nel mondo, o contro la violenza delle carceri. Oggi molte
persone laiche - non saprei
dire quante, ma molte - credenti o no, sono offese e respinte da una durezza
della Chiesa che a volte
sembra ottusità, a volte cattiveria, e ci vedono una malattia inguaribile della
società italiana. A chi
può far piacere?
Adriano Sofri la Repubblica 19 marzo 2009