La sinistra invertebrata
España Invertebrada era il titolo di un noto libro di Ortega y Gasset del quale
Giovanni Sartori si è alcuni anni fa servito per descrivere il nostro paese.
Un paese che secoli di sudditanza a una religione controriformatrice e a
conquistatori stranieri hanno reso conformista e abituato a cercare soluzioni di
ripiego, strade oblique. In un articolo apparso il 12 marzo scorso sulla
London Review of Books, Perry Anderson, storico dei movimenti politici di
sinistra, ascrive questi vizi alla sinistra italiana, accusandola di aver
sperperato un patrimonio di potenzialità a causa di un´endogena disposizione al
compromesso. Egli mette sotto processo tutta la sinistra del dopo-guerra, quella
comunista, quella socialista e quella radicale, ma soprattutto la prima, le cui
mancanze si sono rivelate più gravi perché proporzionate alle più grandi
aspettative che aveva destato a partire dalla guerra di Liberazione. Infine, e
soprattutto, la sinistra più recente, per quella insistenza autodistruttiva a
perseguire la politica della mediazione a dispetto di tutto, e soprattutto della
natura dell´avversario, la quale non consente compromessi. Una sinistra dunque
senza spina dorsale perché senza coraggio di scelte forti e chiare anche se
all´apparenza o nell´immediato impopolari. A mancare non sono state le idealità
di giustizia, ma lo stile culturale, quello storicismo paralizzante che
cerca la giustificazione ai propri errori e non educa alla responsabilità della
scelta; che vuole l´assoluzione e teme il rischio. A mancare non è stata
la cultura politica civile e morale, quella ineguagliata educazione alla
politica come servizio che la vita dei partiti ha consentito a milioni di
italiani, ma invece la struttura anti-democratica e oligarchica dei partiti che
si è mostrata non appena la corazza ideologica si è rotta.
La rappresentazione che offre Anderson è impietosa, il giudizio a tratti
risentito, a tratti sommario; ma non inutile a chi voglia con mente libera
cercare di trarre qualche indicazione che serva alla rinascita dell´opposizione
e al suo radicamento nel paese e nella cultura politica diffusa. Almeno tre
osservazioni sono meritevoli di riflessione. La prima riguarda la frattura tra
cultura d´élite e cultura popolare, sulla quale si è edificata la fortuna di
Mediaset prima e di Forza Italia poi. Questa frattura non è un fatto nuovo nella
storia nazionale. L´ha studiata in maniera illuminante Antonio Gramsci, un
autore canonico per la sinistra anche se la canonizzazione lo ha reso un mito
invece che una fonte di ricerca sociale e una guida pragmatica. Anderson fa
perno su questa frattura per spiegare il paradosso di come si sia prodotta una
sinistra invertebrata da quella che è stata senza ombra di dubbio la sinistra
più importante dell´Europa occidentale, capace di stimolare energie culturali e
civili straordinarie, di ispirare la cultura letteraria e quella
cinematografica, la storiografia e la filosofia per almeno due decenni. Capace
tuttavia di cadere proprio sotto il peso di quella "straordinaria congerie di
energie sociali e morali". Il pregiudizio umanista della classe intellettuale
della sinistra italiana, innamorata delle "battaglie delle idee" ma poco capace
di studiare le trasformazioni prodotte dal consumismo e dalla cultura di massa
nella mentalità popolare, ha facilitato la separazione a tratti abissale tra
un´élite raffinata e d´avanguardia e un popolo sempre meno acculturato e
informato, giudicato dall´alto e spesso disprezzato. Da questa Italia popolare
ignota alle élite della sinistra è partita l´ascesa del populismo leghista e
dell´anti-civismo berlusconiano. E ancora oggi, a ogni sconfitta elettorale, si
rinnova l´incredulità della sinistra per un "fenomeno" che le appare
permanentemente strano ed estraneo. La scomparsa dal Nordest è il segno della
persistenza nella sinistra di una cultura politica che è insofferente verso la
democrazia (non sempre esteticamente attraente), tarda nella comprensione della
cultura liberale e della sua tensione con i processi identitari e comunitari,
timorosa dell´incontro con culture diverse, e infine non sufficientemente
convinta della necessità di avere un sistema informativo nazionale sganciato
dalle coalizioni politiche e davvero pubblico.
La seconda osservazione è conseguente alla prima. Essa riguarda il risvolto
pratico-politico della cultura idealista e storicista che ha animato molta parte
(benché non tutta) della sinistra italiana: la refrattarietà a comprendere
e praticare il conflitto politico, e al contrario, la ricerca della mediazione e
del consenso. Antagonismo e conflitto come segno di contraddizioni insolute e
non invece anche come opportunità per cambiare scenari politici. Eppure, questa
prudente radicalità è stata spesso scambiata per populismo o cieco radicalismo.
La timidezza dimostrata dalla sinistra nei mesi successivi all´ultima sconfitta
elettorale, la sua incapacità a vedere nella politica dell´opposizione, sociale
oltre che istituzionale, una forza positiva ha le sue radici in una cultura
politica che Sartori ha associato all´abito gesuitico alla mediazione
compromissoria. Anderson dice una cosa giusta: la politica, anche quella
ordinaria e parlamentare, deve saper usare strategie da "guerra di posizione" e
da "guerra di movimento". Ciò significa per esempio che il dialogo a volte
deve essere interrotto, che sul conflitto di interessi, su una riforma della
giustizia che favorisce gli interessi del capo della maggioranza, sulle leggi
liberticide e razziste, sulla distruzione della scuola pubblica, sulla laicità
dello Stato non si può transigere, non si può cercare il compromesso.
Interrompere il dialogo è parte della dialettica democratica tanto quando
aiutarlo.
E questo ci porta alla terza osservazione, quella relativa al valore
dell´intransigenza in politica, un valore che non si addice con l´essere
invertebrati. L´intransigenza non è radicalismo fanatico, ma strategia di
coerenza quando è in gioco non tanto o semplicemente l´identità politica di un
partito o di una coalizione, ma soprattutto il patto costituzionale, la natura
dell´ordine politico, i fondamenti del nostro vivere civile. La Costituzione
non è un oggetto di compromesso e sulla sua difesa non si può transigere. La
politica costituzionale e l´intransigenza che essa ispira sono la spina dorsale
di una sinistra democratica, ciò che la distingue e la oppone alla destra.
Libera dalle ingessature dogmatiche, più diretta e chiara nel linguaggio e negli
obiettivi, essa è il naturale asse portante di una politica coraggiosa e non
invertebrata.
Nadia Urbinati Repubblica 16.3.09