L'insicurezza è la normalità
Vi è un
pacchetto sulla sicurezza già all'esame del parlamento, uno dei cui rami l'ha
già approvato. È quello che induce i medici a denunciare i clandestini. Poi c'è
un super pacchetto sulla super sicurezza, varato dal governo per introdurre le
cosiddette ronde, che in parlamento erano state escluse dalla legge in esame. È
una sovrapposizione abbastanza strana. Ma ancora più strana è la motivazione.
In un primo tempo il governo ha detto che il decreto era necessario perché tre
stupri in contemporanea a metà febbraio, a Roma, Bologna e Milano, evidenziavano
un'emergenza stupri, una delle tante emergenze che travagliano l'Italia.
Poi il premier ha chiarito che nell'ultimo anno gli stupri sono diminuiti. Se
gli stupri calano, è evidente che l'emergenza non c'è. Allora perché occorre un
decreto? Lo ha chiarito lo stesso premier: perché occorre far fronte al
«clamore» suscitato nell'opinione pubblica dai tre episodi di metà febbraio.
Vi è, dunque, un'emergenza «clamore». Ma che cosa ha prodotto quel
clamore? Il fatto che per tre giorni tutti i media hanno riempito trasmissioni
televisive e pagine di giornali sui tre episodi citati, dando all'opinione
pubblica l'impressione di un'emergenza che invece non c'è.
È la famosa insicurezza percepita, che è più grave dell'insicurezza reale,
così come il virtuale è più importante del reale, per cui le lacrime della
finzione del Grande Fratello pesano più di quelle per la reale tragedia di
Eluana. Il mondo dei media, il clamore dei media, sono la ragione della
decretazione d'urgenza. Questo paradosso evidenzia la trappola nella
quale è caduta da anni la cultura della sinistra. L'insicurezza non è
un'emergenza. È la normalità, soprattutto nelle grandi aree
metropolitane. Samuel Huntington, il celebre autore de «lo scontro delle
civiltà», uno degli scrittori più citati che letti, nella conclusione di questo
testo osserva: «A Mosca, Rio de Janeiro, Bangkok, Caracas, Shangai, Roma,
Londra, Varsavia, Tokyo, Johannesburg, Dehli, Il Cairo, Bogotà, Washington, la
criminalità appare in vertiginoso aumento». L'ondata migratoria indotta dalla
globalizzazione contribuisce a questo aumento. Gli stupri derivanti da millenni
di maschilismo sono un aspetto di questo fenomeno.
In tale contesto e mentre pacchetti e superpacchetti trasformano
difficoltà che non sono emergenze in crociate anti immigranti, mi ha
stupito la posizione del sociologo Marzio Barbagli, che sostiene la neutralità
del «ricercatore e basta». Ogni ricercatore, ogni studioso è condizionato dalla
propria formazione culturale. Se ne è consapevole, non si vede perché debba
rinunciarvi, purché non comprometta lo sforzo di oggettività nel suo lavoro.
Nelle democrazie occidentali le diverse formazioni culturali hanno contribuito a
una dialettica nella quale la sinistra era per un diritto in evoluzione, che
ampliava le garanzie dei cittadini; e la destra per un diritto statico, che
garantiva l'ordine pubblico, «legge e ordine». Oggi in Italia non c'è
dialettica, ma solo «legge e ordine». Così, mentre ci balocchiamo con ronde
e intercettazioni, il governo manomette il diritto di sciopero col consenso dei
sindacati.
Lo prova anche il decreto sulle ronde, divenute «associazioni di cittadini
volonterosi», che peraltro già esistono e non richiedono decretazioni d'urgenza.
Su di esse punta il governo, per ridurre le garanzie dei cittadini in nome
dell'ordine pubblico. Temo che il blocco mentale sia quello di «uomini di
sinistra» più lenti delle donne a capire che questa è la posta in gioco: un
governo che vuole poteri d'emergenza, per usarli fuori da ogni controllo.
Uno degli strumenti non è lo studio dell'ovvio rapporto tra immigrazione e
crimine, ma la propaganda per equiparare immigrati e delinquenti.
È un rischio denunciato dal presidente della Camera: che forse in passato ha
avuto qualche blocco mentale, ma che non è diventato «nient'altro».
Giorgio Galli Il manifesto 28/2/2009